La leggenda alla prova degli archivi
di Pierre Blet, S.I.
(da L'OSSERVATORE ROMANO
27 marzo 1998)
Tratto da Totus
Tuus
Quando morì il 9 ottobre 1958,
Pio XII fu oggetto di omaggi unanimi di ammirazione e di gratitudine:
"Il mondo - dichiarò il presidente Eisenhower
- è ora più povero dopo la morte del Papa Pio
XII". E Golda Meir, ministro degli Esteri dello Stato
di Israele: "La vita del nostro tempo è stata
arricchita da una voce che esprimeva le grandi verità
morali al di sopra del tumulto dei conflitti quotidiani. Noi
piangiamo un grande servitore della pace" (1). Pochi
anni dopo, a partire dal 1963, egli era diventato l'eroe di
una leggenda nera: durante la guerra, per calcolo politico
o pusillanimità, egli sarebbe rimasto impassibile e
silenzioso di fronte ai crimini contro l'umanità, che
invece un suo intervento avrebbe bloccato.
Quando le accuse si fondano su documenti, è
possibile discutere l'interpretazione dei testi, verificare
se essi sono stati fraintesi, recepiti acriticamente, mutilati
o selezionati in un certo senso.
Quando invece una leggenda viene costruita
con elementi disparati e con un lavoro di immaginazione, la
discussione non ha senso. L'unica cosa possibile è
opporre al mito la realtà storica provata da documenti
incontestabili. A tal fine sin dal 1964 il Papa Paolo VI,
che, come Sostituto della Segreteria di Stato, era stato uno
dei più stretti collaboratori di Pio XII, autorizzò
la pubblicazione dei documenti della Santa Sede relativi alla
seconda guerra mondiale.
L'impostazione di "Actes
et Documents"
L'archivio della Segreteria di Stato conserva
infatti i dossier nei quali è possibile seguire spesso
di giorno in giorno, a volte di ora in ora, l'attività
del Papa e dei suoi uffici. Vi si trovano i messaggi e i discorsi
di Pio XII, le lettere scambiate tra il Papa e le autorità
civili ed ecclesiastiche, note della Segreteria di Stato,
note di servizio dei subalterni ai superiori per comunicare
informazioni e proposte e, inoltre, note private (in particolare
quelle di Mons. Tardini, che aveva l'abitudine, felicissima
per gli storici, di riflettere penna alla mano), la corrispondenza
della Segreteria di Stato con i rappresentanti esterni della
Santa Sede (Nunzi, Internunzi e Delegati apostolici) e le
note diplomatiche scambiate tra la Segreteria di Stato e gli
ambasciatori o i ministri accreditati presso la Santa Sede.
Questi documenti sono, per lo più, spediti con il nome
e la firma del Segretario di Stato o del Segretario della
prima Sezione della stessa Segreteria: ciò non toglie
che essi traducano le intenzioni del Papa.
Partendo da tali documenti sarebbe stato possibile
scrivere un'opera che descrivesse quali erano stati l'atteggiamento
e la politica del Papa durante la seconda guerra mondiale.
Oppure si sarebbe potuto comporre un libro bianco, per dimostrare
l'infondatezza delle accuse contro Pio XII. Tanto più
che, essendo l'addebito principale quello del silenzio, era
facile, partendo dai documenti, porre in luce l'azione della
Santa Sede in favore delle vittime della guerra e, in particolare,
delle vittime delle persecuzioni razziali. Sembrò più
conveniente intraprendere una pubblicazione completa dei documenti
relativi alla guerra.
Esistevano già diverse collane di documenti
diplomatici, di cui molti volumi riguardavano la seconda guerra
mondiale: Documenti diplomatici italiani, Documents on British
Foreign Policy: 1919-1939, Foreign Relations of the United
States, Diplomatic Papers, Akten zur deutschen auswärtigen
Politik 1918-1945. Di fronte a tali collane, e su tali modelli,
era utile permettere agli storici di studiare sui documenti
il ruolo e l'attività della Santa Sede durante la guerra.
In questa prospettiva fu iniziata la pubblicazione della collana
degli Actes et Documents du Saint-Siège relatifs à
la seconde guerre mondiale (2).
La difficoltà risiedeva nel fatto che
per questo periodo gli archivi - sia quello del Vaticano sia
quelli degli altri Stati - erano chiusi al pubblico e anche
agli storici. L'interesse particolare rivolto agli avvenimenti
della seconda guerra mondiale, il desiderio di farne la storia
partendo dai documenti, e non soltanto da racconti o testimonianze
più o meno indiretti, avevano indotto gli Stati coinvolti
nel conflitto a pubblicare i documenti ancora inaccessibili
al pubblico. Le persone di fiducia incaricate di un tale compito
sono soggette ad alcune regole: non pubblicare documenti che
chiamino in causa persone ancora in vita o che, rivelati,
ostacolerebbero negoziati in atto. In base a tali criteri
furono pubblicati i volumi relativi agli anni Quaranta dei
Foreign Relations of the United States, e gli stessi criteri
furono seguiti nella pubblicazione dei documenti della Santa
Sede.
Il compito di pubblicare i documenti della
Santa Sede relativi alla guerra venne affidato dalla Segreteria
di Stato a tre padri gesuiti: Angelo Martini, redattore di
questa rivista, che aveva già avuto accesso agli archivi
riservati del Vaticano, Burkhart Schneider e lo scrivente,
entrambi docenti nella Facoltà di Storia della Chiesa
presso la Pontificia Università Gregoriana. Il lavoro
ebbe inizio sin dai primi giorni del gennaio 1965, in un ufficio
vicino al deposito dell'archivio dell'allora Congregazione
degli Affari Ecclesiastici Straordinari e Prima Sezione della
Segreteria di Stato; là erano normalmente custoditi
i documenti relativi alla guerra.
In quelle condizioni il lavoro comportava facilitazioni
e difficoltà particolari. La difficoltà era
che, trattandosi di un archivio non aperto al pubblico, non
esistevano inventari sistematici finalizzati alla ricerca;
i documenti non erano classificati né in ordine strettamente
cronologico, né in ordine strettamente geografico;
quelli di carattere politico, quindi relativi alla guerra,
si trovavano talora insieme a documenti di carattere religioso,
canonico o anche personale, rinchiusi in scatole abbastanza
maneggevoli, ma talvolta dal contenuto molto disparato. Informazioni
relative alla Gran Bretagna potevano trovarsi in dossiers
sulla Francia, se l'informazione era stata inviata tramite
il Nunzio in Francia, e naturalmente interventi in favore
di ostaggi belgi nelle scatole del Nunzio a Berlino. Era necessario
quindi esaminare ogni scatola e scorrerne tutto il contenuto
per identificare i documenti relativi alla guerra. La ricerca
era tuttavia resa più semplice grazie a una vecchia
regola della Segreteria di Stato in vigore dal tempo di Urbano
VIII, la quale prescriveva ai Nunzi di trattare un solo argomento
per lettera.
Di fronte a tali difficoltà,
avevamo notevoli facilitazioni.
Lavorando in un ufficio della Segreteria di
Stato e su commissione, non eravamo soggetti ai vincoli dei
ricercatori ammessi nelle sale di consultazione dei depositi
pubblici; uno di noi prendeva direttamente dagli scaffali
del deposito le scatole di documenti. Altra considerevole
facilitazione era che si trattava di documenti per lo più
dattiloscritti e rimasti allo stato di documenti separati
(i manoscritti da dattiloscrivere per la tipografia costituirono
un'eccezione); cosicché, non appena riconosciuto un
documento come relativo alla guerra, bastava estrarlo, fotocopiarlo
e consegnare in tipografia la fotocopia correlata delle note,
come esige un lavoro scientifico.
Benché nell'inverno del 1965 il lavoro
procedesse abbastanza rapidamente, pensammo di chiedere l'aiuto
del p. Robert Leiber, che si era ritirato nel Collegio Germanico,
dopo essere stato per oltre 30 anni segretario privato di
Pacelli, prima Nunzio, poi Segretario di Stato e infine Papa
Pio XII. Egli aveva seguito molto da vicino gli affari della
Germania e fu lui a rivelarci l'esistenza delle minute delle
lettere di Pio XII ai vescovi tedeschi; esse furono materia
del secondo volume della collana e sono i documenti che meglio
rivelano il pensiero del Papa.
I singoli volumi
Il primo volume, che ricopre i primi 17 mesi
del pontificato (marzo 1939-luglio 1940) e che rivela gli
sforzi di Pio XII per scongiurare la guerra, uscì nel
dicembre 1965 ottenendo in genere buona accoglienza. Nel corso
del 1966, mentre il p. Schneider preparava attivamente il
volume delle lettere ai vescovi tedeschi, il p. Robert A.
Graham, un gesuita americano della rivista America, il quale
aveva già pubblicato un'opera sulla diplomazia della
Santa Sede (Vatican Diplomacy), chiese informazioni sul periodo
che costituiva l'oggetto del nostro lavoro. Come risposta
egli fu invitato e aggregato al nostro gruppo, tanto più
che già avevamo preso conoscenza dei contatti sempre
più frequenti di Pio XII con Roosevelt e dei documenti
in lingua inglese, nei quali ci imbattevamo piuttosto di frequente.
Egli lavorò immediatamente alla preparazione del terzo
volume, dedicato alla Polonia e concepito sul modello del
secondo, concernente i rapporti della Santa Sede con gli episcopati.
Ma gli scambi epistolari diretti con gli altri episcopati
si rivelarono molto meno intensi, sicché il volume
2i e il 3i (in due tomi) rimasero gli unici nel loro genere.
Così decidemmo di dividere i documenti in due sezioni:
una, che continuava il primo volume, per le questioni di carattere
prevalentemente diplomatico, contraddistinte dal loro titolo
Le Saint-Siège et la guerre en Europe, Le Saint-Siège
et la guerre mondiale: furono i volumi 4i, 5i, 7i e 11i, mentre
i voll. 6i, 8i, 9i e 10i, intitolati Le Saint-Siège
et les victimes de la guerre riuniscono in ordine cronologico
i documenti relativi agli sforzi della Santa Sede per soccorrere
tutti quelli che la guerra faceva soffrire nel corpo o nello
spirito, prigionieri separati dalla famiglia ed esiliati lontano
dai loro cari, popolazioni sottoposte alle devastazioni della
guerra, vittime di persecuzioni razziali.
Il lavoro durò oltre 15 anni; il gruppo
si divise i compiti secondo i volumi progettati e secondo
il tempo che ognuno aveva a disposizione. E p. Leiber, il
cui aiuto ci era stato così prezioso, ci venne tolto
dalla morte il 18 febbraio 1967. E p. Schneider, pur continuando
a insegnare Storia moderna alla Gregoriana, dopo aver pubblicato
le lettere ai vescovi tedeschi, si era dedicato alla sezione
delle vittime della guerra e preparò, con il concorso
del p. Graham, i voll. 6i, 8i e 9i, terminati a Natale del
1975; ma nell'estate dello stesso anno era stato colpito dalla
malattia di cui sarebbe morto nel maggio seguente. E p. Martini,
che a tempo pieno si era dedicato a questo lavoro e aveva
in qualche modo lavorato a tutti i volumi, non ebbe la soddisfazione
di vedere l'opera interamente compiuta: poté soltanto,
all'inizio dell'estate del 1981, vedere le bozze dellíultimo
volume, prima di lasciarci a sua volta. Il vol. 11i (ultimo
della collana) uscì verso la fine del 1981, sotto la
responsabilità del p. Graham e mia.
Benché fosse il più anziano tra
noi, il p. Graham aveva dunque potuto lavorare sino al compimento
dell'opera e anche proseguire, in quei 15 anni, ricerche e
pubblicazioni complementari, uscite per lo più come
articoli su La Civiltà Cattolica, e che costituiscono
anche una fonte di informazioni, che gli storici della seconda
guerra mondiale potranno consultare con profitto. Egli lasciò
Roma il 24 luglio 1996 per fare ritorno nella natia California,
dove chiuse i suoi giorni l'11 febbraio 1997.
Sin dall'inizio del 1982 avevo da parte mia
ripreso le mie ricerche sul XVII secolo francese e sulla diplomazia
vaticana. Ma vedendo che, dopo 15 anni, i nostri volumi rimanevano
sconosciuti anche a molti storici, dedicai gli anni 1996-97
a riprenderne l'essenziale e le conclusioni in un volume di
modeste dimensioni, ma denso per quanto possibile (3). Una
consultazione serena di tale documentazione fa apparire nella
sua realtà concreta l'atteggiamento e la condotta del
Papa Pio XII durante il confitto mondiale e, di conseguenza,
l'infondatezza delle accuse rivolte contro la sua memoria.
I documenti pongono in evidenza come gli sforzi della sua
diplomazia per evitare la guerra, per dissuadere la Germania
dall'aggredire la Polonia, per convincere l'Italia di Mussolini
a dissociarsi da Hitler siano stati al limite delle sue possibilità.
Non si trova nessuna traccia della pretesa parzialità
filotedesca che egli avrebbe assorbito nel periodo trascorso
nella nunziatura in Germania. I suoi sforzi, associati a quelli
di Roosevelt, per mantenere l'Italia fuori dal conflitto,
i telegrammi di solidarietà del 10 maggio 1940 ai Sovrani
di Belgio, Olanda e Lussemburgo dopo l'invasione della Wehrmacht,
i suoi consigli coraggiosi a Mussolini e al re Vittorio Emanuele
III per suggerire una pace separata non vanno certamente in
tale direzione.
Sarebbe illusorio pensare che con le alabarde
della guardia svizzera, o anche con una minaccia di scomunica,
egli avrebbe fermato i carri armati della Wehrmacht.
Ma l'accusa spesso ripresa è di essere
rimasto silenzioso di fronte alle persecuzioni razziali contro
gli ebrei sino alle loro estreme conseguenze e di aver lasciato
così libero corso alla barbarie nazista. Ora i documenti
manifestano gli sforzi tenaci e continui del Papa per opporsi
alle deportazioni, sull'esito delle quali il sospetto cresceva
sempre più. Il silenzio apparente nascondeva un'azione
segreta attraverso le nunziature e gli episcopati per evitare,
o perlomeno limitare, le deportazioni, le violenze, le persecuzioni.
Le ragioni di tale discrezione sono chiaramente spiegate dallo
stesso Papa in diversi discorsi, nelle lettere agli episcopati
tedeschi, o nelle delibere della Segreteria di Stato: le dichiarazioni
pubbliche non sarebbero servite a nulla, non avrebbero fatto
che aggravare la sorte delle vittime e moltiplicarne il numero.
Accuse ricorrenti
Nell'intento di offuscare tali evidenze, i
detrattori di Pio XII hanno messo in dubbio la serietà
della nostra pubblicazione. Molto singolare al riguardo è
un articolo apparso su un quotidiano parigino della sera il
3 dicembre 1997:, "Quei quattro gesuiti hanno prodotto
[!] negli Actes et Documents testi che hanno scagionato Pio
XII dalle omissioni di cui egli è accusato [Ö].
Ma quegli Actes et Documents sono lontani dallíessere
completi". Si voleva dare a intendere che avevamo tralasciato
documenti scomodi per la memoria di Pio XII e per la Santa
Sede.
In primo luogo, non si vede bene come l'omissione
di alcuni documenti aiuterebbe a scagionare Pio XII dalle
omissioni che gli vengono rinfacciate. D'altra parte, dire
con tono perentorio che la nostra pubblicazione non sia completa
equivale a fare un'affermazione che non si può provare:
a tal fine bisognerebbe confrontare la nostra pubblicazione
con il fondo di archivio e mostrare i documenti presenti nel
fondo e mancanti nella nostra pubblicazione. Benché
il fondo di archivio corrispondente sia ancora inaccessibile
al pubblico, alcuni si sono spinti sino a pretendere di fornire
prove di tali lacune degli Actes et Documents. Facendo questo,
essi hanno dimostrato la loro scarsa visione circa l'esplorazione
di fondi di archivio, di alcuni dei quali reclamano l'apertura.
Riprendendo l'identica affermazione di un quotidiano
romano dell'11 settembre 1997, il citato articolo del 3 dicembre
menziona come assente nella nostra pubblicazione la corrispondenza
di Pio XII con Hitler. Osserviamo anzitutto che la lettera
con la quale il Papa notificò la propria elezione al
Capo di Stato del Reich è l'ultimo documento pubblicato
nel secondo volume degli Actes et Documents. Per il resto,
se non abbiamo pubblicato la corrispondenza di Pio XII con
Hitler, è perché essa esiste unicamente nella
fantasia del giornalista. Costui invoca i contatti di Pacelli,
Nunzio in Germania, con Hitler, ma avrebbe dovuto verificare
le date: Hitler giunge al potere nel 1933 e quindi avrebbe
avuto occasione di incontrare il Nunzio apostolico soltanto
da quella data. Ma Mons. Pacelli era rientrato a Roma nel
dicembre 1929, e Pio XI lo aveva creato Cardinale il 16 dicembre
e Segretario di Stato il 16 gennaio 1930. E soprattutto, se
quella corrispondenza fosse esistita, le lettere del Papa
sarebbero conservate negli archivi tedeschi e ve ne sarebbe
normalmente traccia negli archivi del Ministero degli Esteri
del Reich. Le lettere di Hitler sarebbero finite in Vaticano,
ma se ne troverebbe menzione nelle istruzioni agli ambasciatori
di Germania, Bergen e poi Weizsäcker, incaricati di consegnarle,
e nei dispacci di quei diplomatici, che rendono conto di averle
rimesse al Papa o al Segretario di Stato. Nessuna traccia
di tutto ciò. In mancanza di tali riferimenti, si deve
dire che la serietà della nostra pubblicazione è
stata messa in dubbio senza l'ombra di una prova.
Queste osservazioni circa la presunta corrispondenza
tra il Papa e il Führer valgono per gli altri documenti
reali. Spessissimo i documenti del Vaticano sono attestati
da altri archivi, ad esempio le note scambiate con gli ambasciatori.
Si può pensare che molti telegrammi del Vaticano siano
stati intercettati e decifrati dai servizi di informazione
delle potenze belligeranti, e che se ne trovino copia nei
loro archivi, e quindi, se avessimo tentato di nascondere
alcuni documenti, sarebbe possibile conoscerne l'esistenza
e avere allora un fondamento per mettere in dubbio la serietà
del nostro lavoro.
Lo stesso articolo del quotidiano parigino,
dopo avere immaginato relazioni tra Hitler e il nunzio Pacelli,
ricorda un articolo del Sunday Telegraph del luglio 1997,
che accusa la Santa Sede di avere utilizzato l'oro nazista
per aiutare criminali di guerra a fuggire verso líAmerica
Latina, soprattutto il croato Ante Pavelic: "Alcuni studi
accreditano tale tesi (!)". È ammirevole la disinvoltura
con cui i giornalisti possono accontentarsi di documentare
le proprie affermazioni. Ne saranno gelosi gli storici, che
spesso faticano ore per verificare i loro riferimenti. Si
capisce che un giornalista si fidi di un collega soprattutto
quando il titolo inglese del giornale gli dà un'apparenza
di rispettabilità.
Ma ci sono ancora due affermazioni che meritano
di essere esaminate separatamente, e cioè l'arrivo
nelle casse del Vaticano dell'oro nazista, o più esattamente
l'oro degli ebrei sottratto dai nazisti, e il suo uso per
facilitare la fuga di criminali di guerra nazisti verso l'America
Latina.
Alcuni quotidiani americani, infatti, avevano
prodotto un documento del Dipartimento del Tesoro con il quale
lo stesso Dipartimento era informato che il Vaticano avrebbe
ricevuto attraverso la Croazia oro nazista di provenienza
ebraica. Il "documento del Dipartimento del Tesoro"
può fare impressione; ma occorre leggere ciò
che si trova sotto il titolo e allora si scopre che si tratta
di una nota proveniente dalla "comunicazione di un informatore
romano degno di fede". Chi prendesse per oro colato simili
affermazioni dovrebbe leggere quanto ha scritto il p. Graham
sulle prodezze dell'informatore Scattolini, che viveva delle
informazioni tratte dalla sua fantasia, che egli passava a
tutte le ambasciate, compresa quella degli USA, la quale le
trasmetteva fedelmente al Dipartimento di Stato (4). Nelle
nostre ricerche nellíarchivio della Segreteria di Stato,
non abbiamo trovato menzione del supposto arrivo nelle casse
del Vaticano dell'oro sottratto agli ebrei. Spetta ovviamente
a chi sostiene tali asserzioni fornire le prove documentate,
ad esempio una ricevuta, che non sarebbe rimasta negli archivi
del Vaticano, come le lettere di Pio XII a Hitler. Vi è
invece riportato il sollecito intervento di Pio XII, quando
le comunità ebraiche di Roma furono oggetto di un ricatto
da parte delle SS, che esigevano da loro 50 kg di oro; allora
il Gran Rabbino si rivolse al Papa per chiedergli i 15 kg
mancanti, e Pio XII diede immediatamente ordine ai suoi uffici
di fare il necessario (5).
Recenti verifiche non hanno
trovato di più.
La notizia poi relativa alla fuga di criminali
nazisti verso l'America Latina che sarebbero stati aiutati
dal Vaticano non è una novità. Non possiamo
ovviamente escludere l'ingenuità di un ecclesiastico
romano che si serva della propria posizione per facilitare
la fuga di un nazista. Le simpatie del vescovo Hudal, rettore
della chiesa nazionale tedesca, per il Grande Reich, sono
note; ma da qui a immaginare che il Vaticano organizzasse
su vasta scala la fuga di nazisti verso l'America Latina,
significa comunque attribuire agli ecclesiastici romani una
carità eroica. A Roma erano noti i piani nazisti concernenti
la Chiesa e la Santa Sede. Pio XII vi ha accennato nellíallocuzione
concistoriale del 2 giugno 1945, ricordando come la persecuzione
del regime contro la Chiesa si fosse ancora aggravata con
la guerra, "quando i suoi seguaci si lusingavano ancora,
appena riportata la vittoria militare, di farla finita per
sempre con la Chiesa" (6). Tuttavia gli autori, cui si
rifà il nostro giornalista, hanno un'idea piuttosto
elevata del perdono delle ingiurie praticato nellíambiente
del Papa per immaginare una quantità di nazisti accolti
in Vaticano e di là condotti in Argentina, protetti
dalla dittatura di Perón, e di lì in Brasile,
Cile, Paraguay, per salvare ciò che poteva essere salvato
del Terzo Reich: un "Quarto Reich" sarebbe nato
nelle pampas.
Si tratta di notizie nelle quali è difficile
distinguere tra storia e finzione. Agli appassionati di romanzi
possiamo consigliare la lettura di Ladislao Farago A la recherche
de Martin Bormann et des rescapés nazis d'Amérigue
du sud (in inglese Aftermath. Martin Bormann and the fourth
Reich). Con il titolo inglese "Il Quarto Reich"
è detto tutto. L'Autore ci conduce da Roma e dal Vaticano
in Argentina, Paraguay, Cile, sulla pista del Reichsleiter
e degli altri capi nazisti in fuga. Con la precisione di un'Agatha
Christie, descrive la posizione esatta di ogni personaggio
al momento del crimine, indica il numero delle camere d'albergo
occupate dai nazisti in fuga o dai cacciatori di nazisti,
lanciati sulle loro tracce, fa vedere la Volkswagen verde
che li trasporta.
Si rimane colpiti dalla modestia dell'Autore
che presenta il proprio libro come "un'inchiesta alla
francese, studio serio, ma senza pretesa di pura erudizione"
(!).
Conclusione
Il lettore penserà bene che l'archivio
del Vaticano non racchiuda nulla di tutto ciò, anche
in quello che ci sarebbe di reale. Se il vescovo Hudal ha
fatto fuggire qualche pezzo grosso nazista, non sarà
certamente andato a chiedere il permesso al Papa. E se a cose
fatte glielo avesse confidato, non ne sapremmo di più.
Tra le cose che l'archivio non rivelerà
mai, occorre ricordare i colloqui intercorsi tra il Papa e
i suoi visitatori, salvo che con gli ambasciatori che ne hanno
riferito ai loro Governi o con un De Gaulle che ne parla nelle
sue Memorie.
Ciò non significa che, quando gli storici
seri desiderano verificare personalmente l'archivio da cui
sono stati presi i documenti pubblicati, il loro desiderio
non sia legittimo e lodevole: anche dopo una pubblicazione
per quanto possibile accurata, la consultazione degli archivi
e il contatto diretto con i documenti giovano alla comprensione
storica. Altro è mettere in dubbio la serietà
della nostra ricerca, altro è chiedersi se nulla ci
sia sfuggito. Non abbiamo deliberatamente tralasciato nessun
documento significativo, perché ci sarebbe sembrato
nuocere all'immagine del Papa e alla reputazione della Santa
Sede. Ma in uníimpresa del genere chi lavora è
il primo a domandarsi se non abbia dimenticato nulla. Senza
il p. Leiber, l'esistenza delle minute delle lettere di Pio
XII ai vescovi tedeschi ci sarebbe sfuggita e la collana sarebbe
stata privata dei testi forse più preziosi per comprendere
il pensiero del Papa (7). Tuttavia
quell'intero blocco non contraddice in nulla
ciò che ci dicono le note e le corrispondenze diplomatiche.
In queste lettere scorgiamo meglio la preoccupazione di Pio
XII di ricorrere all'insegnamento dei vescovi per mettere
i cattolici tedeschi in guardia contro le lusinghe perverse
del nazionalsocialismo, più pericolose che mai in tempo
di guerra. Tale corrispondenza pubblicata nel secondo volume
degli Actes et Documents conferma dunque l'opposizione tenace
della Chiesa al nazionalsocialismo; ma già si conoscevano
le prime messe in guardia dei vescovi tedeschi, come Faulhaber
e von Galen, di molti religiosi e di sacerdoti e, infine,
l'enciclica Mit brennender Sorge, letta in tutte le Chiese
della Germania la domenica delle Palme del 1937 a dispetto
della Gestapo.
Non possiamo dunque considerare che come pura
e semplice menzogna l'affermazione che la Chiesa abbia sostenuto
il nazismo, come ha scritto un quotidiano milanese del 6 gennaio
1998. Inoltre i testi pubblicati nel quinto volume degli Actes
et Documents smentiscono in maniera perentoria l'idea che
la Santa Sede avrebbe sostenuto il Terzo Reich per timore
della Russia sovietica. Quando Roosevelt chiese il concorso
del Vaticano per vincere l'opposizione di cattolici americani
al suo disegno di estendere alla Russia in guerra contro il
Reich l'appoggio già concesso alla Gran Bretagna, egli
fu ascoltato. La Segreteria di Stato incaricò il Delegato
apostolico a Washington di affidare a un vescovo americano
il compito di spiegare che líenciclica Divini Redemptoris
- che ingiungeva ai cattolici di rifiutare la mano tesa dai
partiti comunisti - non si applicava alla situazione presente
e non vietava agli USA di andare in aiuto allo sforzo bellico
della Russia sovietica contro il Terzo Reich. Sono, queste,
conclusioni inoppugnabili.
Perciò, senza voler scoraggiare i ricercatori
futuri, dubito molto che l'apertura dellíarchivio vaticano
del periodo bellico modificherà la nostra conoscenza
di tale periodo. In quell'archivio, come abbiamo spiegato
prima, i documenti diplomatici e amministrativi stanno insieme
a documenti di carattere strettamente personale; e ciò
esige una proroga
maggiore che negli archivi dei Ministeri degli
Affari Esteri degli Stati. Chi, senza attendere, desidera
approfondire la storia di quel periodo di sconvolgimenti può
già lavorare con frutto negli archivi del Foreign Office,
del Quai d'Orsay, del Département d'Etat e degli altri
Stati che avevano rappresentanti presso la Santa Sede. I dispacci
del ministro inglese Osborne fanno rivivere, meglio delle
note del Segretario di Stato vaticano, la situazione della
Santa Sede, accerchiata nella Roma fascista, poi caduta sotto
il controllo dell'esercito e della polizia tedesca (8).
E dedicandosi a tali ricerche, senza reclamare
un'apertura prematura dellíarchivio del Vaticano, che
essi mostreranno di ricercare proprio la verità.
[Questo articolo è apparso in apertura
del numero 3546 - 21 marzo 1998 - de "La Civiltà
Cattolica"].
Note
(1) In Oss. Rom., 9 ottobre 1958.
(2) Actes et Documents du Saint-Siège
relatifs à la seconde guerre mondiale, édités
par P. Blet - A. Martini - R. A. Graham [dal 3i vol.] - B.
Schneider, Città del Vaticano, Libr. Ed. Vaticana,
11 vol. in 12 tomi [due tomi per il 3i vol.], 1965-1981.
(3) Cfr P. Blet, Pie XII et la seconde guerre
mondiale d'après les archives du Vatican, Paris, Perrin
1997.
(4) Cfr. R. A. Graham, "Il vaticanista
falsario. L'incredibile successo di Virgilio Scattolini",
in Civ. Catt. 1973 III 467-478.
(5) Cfr. Actes et Documents, vol. 9, cit.,
491 e 494.
(6) Pio XII, "Allocuzione concistoriale"
(2 giugno 1945), in AAS 37 (1945) 159-168.
(7) Così quando abbiamo preparato il
primo volume, ci era rimasto sconosciuto il redattore dell'appello
di Pio XII per la pace del 24 agosto 1939, opportunamente
corretto e approvato dal Papa. Solamente ricerche ulteriori
ci hanno permesso di scoprire che il redattore era stato Mons.
Montini (cfr B. Schneider, "Der Friedensappel Papst Pius'
XII vom 24 August 1939" in Archivum Historiae Pontificiae
6 [1968] 415424), anche se è difficile attribuire ai
due autori le singole parti.
(8) Cfr. O. Chadwick, Britain and the
Vatican during the Second World War, Cambridge, 1986.
Alcuni tra i maggiori studiosi di
questo argomento
(P. Pierre Blet s.j., P. Peter Gumpel s.j.,
Eduardo Rivero, Antonio Gaspari)
rispondono anche alle tue domande
scrivici!
|