Nato verso la metà del I secolo,
a Gerapoli, il filosofo stoico Epitteto fu maestro
a Roma e fu tra i filosofi che subirono la cacciata
dalla capitale voluta dall’imperatore Domiziano.
Raccolta una cerchia di discepoli a Nicopoli in
Epiro, vi fondò una scuola, attiva nel periodo
del principato di Adriano (117-138); alcune testimonianze
del suo insegnamento ci sono pervenute tramite
la raccolta di Dissertazioni del discepolo
Arriano (95-175 circa).
In un passo di quest’opera, trattando
di un tema assai caro allo stoicismo, ovvero la
mancanza di paura di fronte alla morte, Epitteto
enumera vari categorie di persone che hanno questo
atteggiamento, come i bambini e i pazzi (incoscienti),
coloro che per qualche motivo desiderano la morte,
oppure coloro che accettano la morte con serenità,
come i filosofi.
Tra coloro che invece non hanno paura
della morte solo per abitudine (ethos),
egli enumera i “Galilei”.
“Anche per follia uno può resistere
a quelle cose, o per ostinazione, come i Galilei”
(Diss. Ab Arriano digestae IV, 6, 6).
Con l’espressione “quelle cose” il
filosofo intende gli atti compiuti dai tiranni,
e chiamando i Cristiani “Galilei” usa un titolo
comune.
Egli ha forse davanti agli occhi
alcuni casi di persecuzione (la lettera di Paolo
a Tito presume una comunità cristiana a Nicopoli,
ove Epitteto insegnò a lungo), e non riesce a
spiegarsi l’atteggiamento di ostinazione dei Cristiani,
al quale egli reagisce invocando nelle righe successive
“il ragionamento e la dimostrazione”. Come già
per Plinio, i cristiani sono degli irrimediabili
cocciuti; il motivo della fede per lui è completamente
ignoto o incompreso.
NOTE
AL TESTO
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