Marco Cornelio Frontone,
di origine di Cirta, in Africa, visse a Roma,
ove fu avvocato e retore a tal punto apprezzato
da ottenere l’incarico di curare l’educazione
retorica dei futuri imperatori Marco Aurelio e
Lucio Vero. Nel 143 fu consul suffectus,
e godette di tale fama da essere considerato dai
suoi contemporanei un novello Cicerone; egli fu
il rappresentante del cosiddetto movimento arcaicizzante
che dominò la prosa del secolo II.
Di una sua Orazione contro i Cristiani,
pronunciata tra il 162 e il 166, ci fa menzione
l’apologista Minucio Felice nel suo Octavius
(ultimo quarto II secolo); egli definisce Frontone:
“non un teste diretto che arrechi la sua testimonianza,
ma solo un declamatore che volle scagliare un’ingiuria”, a causa delle sue accuse infamanti
verso i Cristiani.
L’interlocutore pagano Cecilio, rifacendosi
all’orazione suddetta che è ricostruibile per
lo meno a grandi linee dalle citazioni, affermava tra l’altro:
“ Essi, raccogliendo dalla feccia
più ignobile i più ignoranti e le donnicciuole,
facili ad abboccare per la debolezza del loro
sesso, formano una banda di empia congiura,
che si raduna in congreghe notturne per celebrare
le sacre vigilie o per banchetti inumani, non
con lo scopo di compiere un rito, ma per scelleraggine;
una razza di gente che ama nascondersi e rifugge
la luce, tace in pubblico ed è garrula in segreto.
Disprezzano ugualmente gli altari e le tombe,
irridono gli dei, scherniscono i sacri riti;
miseri, commiserano i sacerdoti (se è lecito
dirlo), disprezzano le dignità e le porpore,
essi che sono quasi nudi! […] Regna tra loro
la licenza sfrenata, quasi come un culto, e
si chiamano indistintamente fratelli e sorelle,
cosicché, col manto di un nome sacro, anche
la consueta impudicizia diventi incesto. […]
Ho sentito dire che venerano, dopo averla consacrata,
una testa d’asino, non saprei per quale futile
credenza […] Altri raccontano che venerano e
adorano le parti genitali del medesimo celebrante
e sacerdote […] E chi ci parla di un uomo punito
per un delitto con il sommo supplizio e il legno
della croce, che costituiscono le lugubri sostanze
della loro liturgia, attribuisce in fondo a
quei malfattori rotti ad ogni vizio l’altare
che più ad essi conviene […] Un bambino cosparso
di farina, per ingannare gli inesperti, viene
posto innanzi al neofita, […] viene ucciso.
Orribile a dirsi, ne succhiano poi con avidità
il sangue, se ne spartiscono a gara le membra,
e con questa vittima stringono un sacro patto
[…] Il loro banchetto, è ben conosciuto: tutti
ne parlano variamente, e lo attesta chiaramente
una orazione del nostro retore di Cirta […]
Si avvinghiano assieme nella complicità del
buio, a sorte” (Octavius VIII,4-IX,7).
Graffito del colle Palatino: caricatura
di un uomo crocefisso con testa d'asino.
|
A risposta di questo armamentario
di accuse infamanti e di seconda mano (Ho sentito
dire…), possono valere le parole che il cristiano
Giustino rivolgeva in quegli stessi anni ad un
altro accusatore del cristianesimo, il filosofo
cinico Crescente: “Veramente è ingiusto ritenere
per filosofo colui che, a nostro danno, rende
pubblicamente testimonianza di cose che non conosce,
dicendo che i Cristiani sono atei e scellerati;
e dice ciò per ricavarne grazia e favore presso
la folla, che resta ingannata”.
Si noti che questo intervento raccoglie
tutte assieme accuse che già circolavano dal secolo
precedente, sottintese fin dalle parole di Tacito;
ma se alcuni storici si prendevano la briga di
verificarne la veridicità, come fece Plinio il
Giovane, altri contribuivano a diffonderle.
Interessante il riferimento al culto
della testa d’asino, una vecchia accusa già usata
da Tacito contro gli Ebrei, dalla quale si era
già difeso Giuseppe Flavio; di essa abbiamo anche una rappresentazione
figurativa, un graffito di età severiana ritrovato
sul Palatino, e ora conservato nell’antiquarium,
raffigurante la caricatura di un uomo crocifisso
con testa d’asino, con ai suoi piedi un altro
uomo in atto di adorazione, il tutto accompagnato
dalla scritta: “Alessameno adora il suo Dio”.
NOTE
AL TESTO
|