Siamo stati al cinema, multisala Odeon a
Milano, per vedere "Dark Blue World" di
Jan Sverak, già autore del godibilissimo Kolya.
E' un film cecoslovacco. Narra la storia di un gruppo
di amici, di due in particolare, che non appena Hitler
- col pretesto dei Sudeti - ordina di occupare (siamo
nel '38) Praga e l'intero paese, decidono di arruolarsi
nella Raf.
La 2° guerra mondiale sta per scoppiare. Essi
formano la squadriglia Blue, che piano piano dopo
operazioni sempre più rischiose e coraggiose,
riesce a guadagnarsi la stima dello stato maggiore
della Raf (Royal Air Force). Alla fine della guerra,
tornano in Cecoslovacchia, ahimè!,errore: il
regime comunista temendo che questi uomini, che avevano
combattuto per la libertà, ci prendessero gusto
a lottare per essa anche nel proprio paese, senza
motivi e senza processo li schiaffa in un lager (nel
1951 per l'esattezza).
Il film si sviluppa secondo uno stile semplice
nei dialoghi, lineare nella trama, godibile nelle
diverse situazioni che vengono a crearsi. Non risultano
grandi analisi storiche (anzi) né giudizi politici.
Vi è un intreccio ben congegnato tra destini
personali e vicende collettive, senza complicanze
e con un ritmo narrativo buono. Un film semplice sobrio
e significativo. Da ultimo non ci sono i soliti amplessi
per i cinefili guardoni e frustrati. Però c'è
la donna e il suo charme...
Ciò che ho trovato geniale è la simmetria
narrativa: il film si apre col protagonista che sputa
sangue nel lager ceco-comunista dove è oggetto
di violenza gratuita mentre il regista opera continui
flash-back nel periodo in cui - sempre il protagonista
- guidava la famosa squadriglia Blu in Inghilterra
in nome della libertà. Felicissima questa scelta
di simmetria narrativa perché la risultante
finale nello spettatore è di fare capire, avvertire,
toccare con mano, la terrificante continuità
tra occupazione tedesca e sovietica. Dal punto di
vista della soppressione della libertà la differenza
tra Reich e Armata Rossa è zero e zero nullo.
C'è da auspicare che siano i paesi
dell'est (una buona volta), oggi liberi, a scrivere
e fare opere letterarie e artistiche con le quali
far capire a noi, la vecchia ideologica Europa, che
l'orrore tedesco è continuato, con il regime
sovietico, non come prima ma più di prima!
Infatti se a farlo presente siamo noi occidentali
da sempre, veniamo tacciati di anticomunismo, pregiudizio
ideologico... alla faccia dell'avvenuta caduta del
comunismo!
La fede compare nel film in modo significativo ma
indiretto: di certo non col moralismo bigotto e bacchettone.
Il carcere comunista è una bellissima cattedrale
con delle stupende vetrate trasformata in carcere,
ennesima riprova che ogni vero regime totalitario
ha paura della fede dell'uomo.
Per il resto non si va oltre il nostalgico
lontano inafferrabile sentimento religioso di una
presenza enigmatica che ha il volto triste e luttoso
dell'amico morto, angelo-pilota del paradiso che continua
a volare lassù nel cielo, perso in realtà
per sempre per l'amico... come persa è la sua
libertà e quella del popolo cecoslovacco, strappata
via da un regime alieno e totalitario. Ma la luce
che attraversa quelle alte e gotiche vetrate per illuminare
i volti dei prigionieri, fa sperare... e col senno
di poi la speranza si realizzerà negli anni
'90, con la rivoluzione di velluto di Vaclav Havel.