[an error occurred while processing the directive] [an error occurred while processing the directive]
 
ARTICOLI
   
SOCIETA'
   
SCIENZA
   
FILOSOFIA
   
DIRITTO

     

L’embrione e il paradosso di Aristotele

di Emanuele Severino - da Corriere della Sera 01-12-04

È di domenica la notizia che la Svizzera approva la ricerca sulle cellule staminali umane tratte dagli embrioni soprannumerari. E tra poco in Italia si aprirà la discussione su questo problema relativamente al referendum sull’uso delle cellule staminali. È allora il caso di avviare, con calma, la riflessione su questa importante e delicata questione. Molti sostengono che l’embrione è un essere umano. Ma, al di là delle intenzioni, la loro logica - se vuol esser coerente ai propri princìpi - spinge ad affermare che l’embrione non è un essere umano. Lo si può scorgere in base a un «argomento» decisivo, che non è mai stato preso in considerazione e che indico qui per la prima volta, con la speranza di farmi capire. Si crede comunemente che uomini e natura siano capaci di realizzare infinite opere e cose. Il bambino è capace di diventare adulto; l’alba è capace di diventare giorno. Alcuni secoli prima di Cristo il pensiero filosofico ha dato una interpretazione tale, del senso della capacità, che è rimasta alla base di ciò che l’uomo ha poi compiuto in ogni campo: politico, religioso, economico, artistico, giuridico, scientifico, culturale. Con Aristotele è prevalso il principio che la capacità esiste anche prima di essere esplicata o messa in pratica. Un corpo è capace di cambiar luogo anche prima che lo cambi o che glielo si faccia cambiare; un bambino è capace di diventare adulto anche prima che lo divenga effettivamente. Aristotele ha chiamato «potenza» la capacità così intesa, e di una cosa capace di essere o di fare qualcosa ha usato dire che essa è «in potenza» tale essere o fare. Provi la scienza, o il cristianesimo (e tutto il resto), a compiere un solo passo prescindendo dal concetto aristotelico di «potenza». Che l’embrione prodotto dal seme dell’uomo e dall’ovulo della donna sia essere umano in potenza - ossia qualcosa che in condizioni «normali» ha la capacità di diventare un essere umano - è un principio accettato sia da coloro che sostengono, sia da coloro che negano che l’embrione sia già un essere umano. I due opposti schieramenti si scontrano infatti in relazione a un ulteriore carattere della «potenza». Gli uni (ad esempio i cattolici) intendono che l’embrione sia un esser-già-uomo, ma, appunto, un esserlo già «in potenza». Gli altri intendono che l’embrione, sebbene sia «in potenza» un essere umano, sia tuttavia un non-essere-ancora-uomo. In questo secondo caso la sua soppressione non è omicidio; nel primo caso sì, è omicidio - e questo primo caso esprime la compiuta concezione aristotelica della «potenza». Ma nel secondo caso ci si limita ad esprimere un dogma, o una tesi scientifica, che, appunto perché scientifica, non può essere più che un’ipotesi sia pure altamente confermata. Ciò nonostante la Chiesa fa dipendere dalle ipotesi della scienza quella che dovrebbe essere la verità assoluta, cioè non ipotetica, del proprio insegnamento. In favore del carattere umano dell’embrione suona invece il principio che il suo esser uomo «in potenza» è il suo esser-già-uomo, sebbene, appunto, «in potenza». E se già un modo di esser uomo, la sua soppressione è un omicidio. Sennonché, quanti sostengono il carattere umano dell’embrione sostengono anche che il processo che conduce dall’embrione all’uomo compiutamente esistente (uomo «in atto», dice Aristotele) non è garantito, non è inevitabile, non ha un carattere deterministico, ossia tale da non ammettere deviazioni o alternative. Ancora una volta, è Aristotele a rilevare che «ciò che è in potenza è in potenza gli opposti». Questo vuol dire che, se l’embrione può diventare un uomo in atto, allora, proprio perché «lo può» (e non lo diventa ineluttabilmente), proprio per questo può anche diventare non-uomo, cioè qualcosa che uomo non è. E siamo al tratto decisivo del discorso (che andrebbe letto al rallentatore). L’embrione - si dice - è in potenza un-esser-già-uomo. Ma, si è visto, proprio perché è «in potenza» uomo, l’embrione è in potenza anche non-uomo. Pertanto è in potenza anche un esser-già-non-uomo. È già uomo e, anche, è già non uomo. Nell’embrione questi due opposti sono uniti necessariamente. Proprio per questo, l’embrione non è un esser uomo. Infatti - anche per coloro che pensano alla luce dell’idea di «potenza» - l’uomo autentico è uomo, e non è insieme non-uomo. Se un colore è insieme un rosso e un non-rosso, tale (mostruoso) colore non è il color rosso. Analogamente, se l’embrione è, in potenza, quell’esser già uomo che è necessariamente unito all’esser già non-uomo, ne viene che l’embrione non è già un uomo - non è cioè quell’esser autenticamente uomo che rifiuta di unirsi all’esser non-uomo. Questo autentico esser uomo non è pertanto «contenuto» nell’unità potenziale dell’esser uomo e del non esser uomo: così come lo scapolo - l’uomo che non è unito a una donna - non è «contenuto» nell’ammogliato - cioè nell’uomo che invece è unito a una donna. Non essendo, l’uomo, «contenuto» nell’embrione, non si può quindi dire che sopprimendo l’embrione si uccide l’uomo. Sia pure inconsapevolmente, ad affermare che l’embrione non è un essere umano, e che la sua soppressione a fini terapeutici o eugenetici non è omicidio, son dunque proprio coloro che dell’embrione, alla luce dell’idea di «potenza», intendono essere gli amici più fedeli.


No, secondo il pensiero occidentale definirlo così è contraddittorio

Il concetto di «potenza» secondo lo Stagirita costringe a negare che l’embrione sia un essere umano, sia pure potenziale

di Emanuele Severino - da Corriere della Sera 06-01-05

L’embrione è un essere umano? Il mio articolo sul Corriere NON intendeva mostrare come a questa domanda risponde il mio discorso filosofico. (Ho scritto più volte che la soppressione di ogni forma di vita umana è omicidio). Che cosa intendevo mostrare, allora, in quel mio articolo? 1) Che, al di là delle intenzioni di chi accetta il concetto aristotelico di «potenza», tale concetto costringe a negare che l’embrione sia un essere umano, sia pure potenziale; 2) Che tale costrizione sussiste perché il concetto stesso di «potenza» è contraddittorio, assurdo. La tesi è tutt’altro che familiare (ovvio che di primo acchito non la si capisca e la si rifiuti) e ha vaste implicazioni, perché il pensiero filosofico greco è il terreno in cui cresce l’intera storia dell’Occidente (cristianesimo incluso) e al centro del terreno appartiene appunto la riflessione di Aristotele sul senso della «potenza». Una gigantesca incoerenza guida dunque la nostra civiltà, che tuttavia, per essere potente, non ha bisogno né della verità, né della coerenza. Tutto questo molti non l’hanno capito. Al Corriere sono arrivate centinaia di e-mail; Giuliano Ferrara è intervenuto due volte sul Foglio, due volte il professor A. Pessina su l’Avvenire. Ma con quell’articolo ha a che fare anche un recente testo della Commissione di bioetica dell’Accademia dei Lincei inviato a noi membri. Enrico Berti - uno dei nostri maggiori interpreti di Aristotele e cattolico - ha mandato una lettera al Corriere. Potrei continuare. L’equivoco maggiore si è prodotto tuttavia a proposito dell’espressione, da me usata, «esser-già-uomo in potenza». Per Aristotele, ciò che è uomo in potenza è già un uomo, ma, appunto, lo è in potenza. Un gran numero di lettori (Ferrara compreso) ha replicato richiamando l’insegnamento della Chiesa che l’embrione è «uomo in atto» sin dal momento della fecondazione dell’ovulo della donna. Tuttavia la Chiesa, e i suddetti lettori, riconoscono che l’embrione non parla, non ragiona, non costruisce case, ecc. Ossia riconoscono che l’embrione è, in potenza, uomo «adulto». Ma che altro vuol dire l’espressione «essere-già-uomo in potenza» se non, appunto, che l’embrione è in potenza un adulto, cioè un essere che ha sviluppato le sue facoltà umane? Non aveva forse detto, il mio articolo, che secondo Aristotele l’essere in potenza uomo non significa «non essere ancora un uomo» (come invece accade, sul piano filogenetico nell’interpretazione evoluzionistica del concetto di «uomo-in-potenza», ma significa esser già uomo (che tuttavia che deve ancora sviluppare, cioè rendere attuali le proprie potenzialità)? E «ogni potenza - dice Aristotele (Metaph., IX, 8) - è insieme potenza di ambedue i contrari» (trad. G. Reale) «Ogni» potenza: non solo ciò che ha in potenza proprietà accidentali opposte, ma anche ciò che, non esistendo ancora, può diventare come non diventare una sostanza. Ma è a questo punto che incomincia l’«argomento decisivo» (e certamente inedito) accennato nel mio articolo. Ne richiamo il senso centrale (invitando a rileggere il suddetto articolo). L’uomo che è in potenza adulto è già un uomo ma è anche già un non-uomo, perché, secondo Aristotele, invece di svilupparsi potrebbe morire (e non perché - lo dico anche a Berti - possa diventare un gatto o una locomotiva). Un essere in potenza, e cioè un che di contraddittorio, di impossibile, di assurdo. Lo è l’embrione, ma lo è qualsiasi essere in potenza. Il concetto di «potenza» è un grandioso costrutto teorico della follia. Il divenire del mondo deve essere reinterpretato al di fuori della categoria della «potenza». Ma, intanto, gli amici della «potenza» e dell’embrione debbono riconoscere che, proprio perché è qualcosa di contraddittorio, l’embrione non può essere né può diventare quell’esser uomo che per costoro è invece un ente incontraddittorio (questo discorso non va confuso, come invece lo è stato, con la banale ed errata critica al concetto di «potenza», per la quale sarebbe contraddittorio essere in potenza uomo, e non esserlo in atto), e debbono riconoscere che la soppressione dell’embrione non è omicidio. Berti - per il quale «l’embrione è certamente uomo in potenza» - condivide sostanzialmente, mi sembra, quanto ho scritto sul concetto aristotelico di potenza. (Aspetto però che si pronunci sulla tesi della contraddittorietà di tale concetto). Si aggiunga che per Aristotele lo sperma deve esser deposto in altro», cioè nell’utero della donna, e che solo «allora esso sarà l’uomo in potenza» (Metaph., IX, 7). Un ente unitario che sia uomo in potenza, e che non può essere sperma e ovulo separati, ci deve pur essere da qualche parte, perché altrimenti non potrebbe mai realizzarsi l’uomo in atto. (Ci pensino i critici come il prof. Pessina). Su san Tommaso la chiesa fonda buona parte del proprio pensiero filosofico-teologico. Ma egli ritiene che per Aristotele esser uomo in potenza significhi essere animale in atto, e condivide pienamente questa tesi: «Nel tempo il feto è animale prima di essere uomo» (prius tempore est fetus animal quam homo) e pertanto «il corpo umano... che precede temporalmente l’anima... non è umano in atto, ma solo in potenza» (Summa contra gentiles, II, capp. 86-89). Su questi punti la chiesa ha preso le distanze da Tommaso; ma si tratterebbe di vedere con quanta coerenza. Comunque, problemi non miei, questi, ma degli amici della «potenza».