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Io, talassemico difendo questa legge per la vita

di Angelo Loris Brunetta, Presidente A.L.T. - Associazione Ligure Thalassemici

da il Giornale, 13 settembre 2004

La notizia rimbalzata in questi giorni sui quotidiani e sulle televisioni nazionali,al di la delle polemiche di parte che ne sono scaturite, è di quelle che, senza dubbio, suscitano lo stupore della gente e accrescono la speranza dei malati di conseguire, finalmente, la libertà dalla malattia ed una vita normale.
Certamente l’intervento portato a termine al Policlinico di Pavia che ha portato alla guarigione di un bambino thalassemico, grazie alla moltiplicazione delle cellule staminali ricavate dai cordoni ombelicali dei fratellini, è testimone di quanto le frontiere, in campo scientifico, possano essere continuamente superate.
Il plauso per la notizia è stato generale, e di tale portata, che molto risalto è stato dato ad una malattia, la thalassemia appunto, invece solitamente sottostimata come problema, a livello italiano, tanto che poche, per non dire nulle, sono le risorse destinate alla ricerca che le vengono concesse.
Anzi, per la verità, la thalassemia in questo ultimo anno, almeno da quando è stata approvata la legge sulla fecondazione assistita, è spesso utilizzata dagli organi di stampa, a sproposito, quale esempio di malattia “terminale”, e con una rabbrividente incisività di espressioni, da ritenere ammissibile concedere la possibilità di selezionare geneticamente gli embrioni prima di inserirli nel grembo di una potenziale mamma.
Io sono un thalassemico, ho 41 anni e sono presidente dell’Associazione Ligure Thalassemici, convivo con questa malattia da quando sono nato e, anche se la thalassemia non è certo un raffreddore ho condotto una vita pressoché normale, e come me molti altri.
Mi sento di rappresentare quindi una voce tra coloro che si sono salvati dal “cestino dei rifiuti” in cui sarebbero certamente finiti se la cultura, del figlio perfetto, delle veline e del grande fratello, e la disinformazione, gravissima, imperante oggi fosse stata pervicacemente sostenuta anche molti anni fa, un tempo in cui, forse di thalassemia si poteva anche morire, ma quando sicuramente esistevano valori e sensibilità nemmeno paragonabili alla pochezza dei contenuti di oggi.
Certo molti genetisti di chiara fama si sono affrettati a spiegarci che quell’intervento di Pavia rappresenta una porta aperta sul futuro di questa malattia, probabilmente è vero, di questo i pazienti ne sono certamente felici, il Ministro Sirchia l’ha definito una conquista a livello mondiale, la domanda che mi sono fatto io è “a quale prezzo ?”.
Puntualmente, ma non sorprendentemente direi, la notizia che quell’intervento è figlio di una selezione embrionale, cioè i fratellini di quel bimbo thalassemico non sono nati sani per caso ma perché geneticamente selezionati, complimenti.
Mi piacerebbe sapere quanti embrioni sono stati “scartati” prima di trovare la combinazione esatta e se riusciamo a trovare una giustificazione, eticamente inappuntabile, per spiegare quello che è successo in questa circostanza.
Sono ovviamente felice per la guarigione del bambino thalassemico, come potrebbe essere diversamente ?, solo vorrei dire che in Italia esistono quasi 7000 malati che non possono accedere a queste terapie di frontiera, ed è nostro dovere assicurarci che queste persone siano curate al meglio delle possibilità della scienza, magari aiutando progetti di ricerca che possano, un domani non lontano, portare alla realizzazione di un sogno che ho, in cui la ricerca “pulita” possa produrre un risultato analogo a quello di Pavia, e in cui la distorsione dell’informazione su questa malattia non sia più tale da suggerire alle persone il ricorso a soluzione estreme.