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Legge 40, parla il presidente dei talassemici italiani.
Sono un mostro io?
da Il Foglio 23-10-05
E alla fine il malato senza futuro s'è imbufalito
ed è andato in tivù a dire:
"Scusate, Brunetta c'è"
"Se per sostenere un'idea si cambia la realtà, significa
che quell'idea non è formidabile"
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Genova. "Tanti buchi fatti sul tavolo di cucina, ecco quel
che mi ricordo". Il padre ritornava la sera dall'Italsider,
operaio tutta la vita, e quel bambino con gli occhi a mandorla che
a tre anni era sempre stanco svogliato pallido pallido lo preoccupava.
E allora prelievi, buchi, un sacco di buchi, analisi a pagamento
ogni tre giorni, analisi per escludere, analisi per trovare. Fino
alla diagnosi di un pediatra specializzato: "Lui d'ora in poi
lo curo io, ha la talassemia". Millenovecentosessantaquattro,
i bambini talassemici non superavano la pubertà. Loris Brunetta
aveva tre anni e si ricorda solo i buchi, scappava sotto il tavolo
per non farseli fare. Suo fratello no, suo fratello era nato sano,
fortunato. Non è difficile imparare la regoletta, la insegnano
alle scuole medie, piselli rossi e piselli bianchi: è la
legge di Mendel, quello dell'ereditarietà. Per due genitori
microcitemici, cioè portatori sani di talassemia, tre possibilità:
venticinque per cento figlio completamente sano, cinquanta per cento
figlio portatore sano, venticinque per cento figlio malato. Talassemico.
Condannato a morte. Anche deforme, con le ossa del cranio un po'
schiacciate, nei favolosi anni Sessanta: globuli rossi piccoli,
pallidi, in numero ridotto e con vita breve, trasfusioni sbagliate
o approssimative, genitori rassegnati alla malasorte di un figlio
a termine, con gli occhi troppo allungati. Loris Brunetta non aveva
più la madre, morta prima di sapere che a uno dei due bambini
era andata male, morta senza sapere nulla nemmeno della microcitemia
e delle leggi di Mendel. Pochi anni dopo, nelle zone più
colpite, Bassa padana, delta del Po, Sardegna, Meridione, ci si
cominciava a fare le analisi prematrimoniali, e nel 1974 la talassemia
ebbe un bel peso nel referendum sull'aborto. Meglio un figlio non
nato di un figlio condannato a una mezza vita.
Brunetta tira il fiato, oggi che ha 41 anni e la
faccia da ragazzo, la fede al dito e un impiego in comune, a Genova
(per un periodo ha fatto le consegne, carico e scarico, lavoro pesante
che gli ha procurato un paio di ernie al disco, poi ha vinto il
concorso, è contento, in centro ci va con la moto). Nessuno
l'ha buttato nel cestino quando lui non poteva farci nulla, e mai
nessuno, anche dopo tutti quei buchi e la diagnosi, ha pensato che
il cestino sarebbe stato meglio. "Mi portava mio padre a fare
le trasfusioni, quando non lavorava, sennò mio nonno, e qualche
volta ci andavamo direttamente col donatore: un collega di lavoro,
un cugino, chiunque. Prelievo e via, un'ora dopo nel mio braccio
il suo sangue ancora caldo". Funzionava così, negli
anni Sessanta: controlli zero, adesso non si può donare il
sangue nemmeno se si è sovrappeso. Dice Brunetta, mentre
beve un prosecco - "certo, mangio noccioline, bevo, cosa credevi?"
- che le complicazioni più pesanti le ha avute dopo le trasfusioni,
febbri da cavallo e vomito per il corpo estraneo, magari non sano,
magari non compatibile. Anche l'epatite C si è beccato con
le trasfusioni, il 70 per cento dei talassemici ce l'ha, e amen.
Quando era bambino, condannato dalla legge di Mendel a vita breve
e smunta, non c'era nessuno a fissargli l'appuntamento per la provvista
di sangue, funzionava così: il padre osservava il piccolo,
che poco a poco andava spegnendosi, sempre più pallido, sempre
più stanco, e allora capiva che era l'ora delle provviste.
"Era un tirare a campare, non c'era altra possibilità
che questa". Ospedale, trasfusione, ricovero anche lungo, lunghissime
assenze da scuola, non come adesso con il day hospital, e la ferocia
degli altri bambini: non ti picchio perché sei malato, hai
preso un bel voto solo perché sei malato, mia madre dice
che devo essere buono con te perché sei malato. Gli dava
fastidio, allora a pallone voleva essere il più bravo di
tutti. Col fiatone, ma il più bravo di tutti.
"Sono un mostro, io?"
"Con poco ferro si muore, con molto ferro si muore". Lo
dice il primario del centro di talassemia a Genova, che prima era
uno scantinato dell'ospedale e adesso è qualcosa di più
e cura duecento persone. Vanno lì alle undici, seduti in
poltrona con l'ago nel braccio, trasfusione e alle tre tornano a
lavorare, o vanno a fare i compiti, i più piccoli piangono
un po'. Con molto ferro si muore, e infatti di quello muore un talassemico:
di accumulo. Le trasfusioni fanno accumulare il ferro, a poco a
poco, dove non si deve: cuore, fegato, pancreas. Tra gli ottomila
talassemici italiani sta una maggioranza silenziosa e cardiopatica,
il settanta per cento muore con un cuore sovraccarico, che non riesce
più a funzionare. Brunetta non è cardiopatico, per
adesso, ma ha alle spalle dieci anni di non cure, fino al 1974,
quando finalmente hanno cominciato a eliminargli il ferro dal sangue
con l'infusione, un ago sottocutaneo attaccato a una macchinetta
portatile. Quell'anno ha cambiato la vita ai malati, cioè
gliel'ha allungata per sempre: "Nel 1974 c'erano ragazzini
di cui i medici aspettavano la morte da un momento all'altro, e
adesso sono ancora qui". Adesso sui grafici la curva è
ascendente, e l'estate scorsa a Genova è morto il paziente
più anziano: quarantasette anni. Brunetta ne ha quarantuno,
sa che i miracoli sono rari, dice che con la paura si impara a convivere,
e che la morte non è il suo primo pensiero la mattina né
l'ultimo la sera: "La paura ce l'hanno tutti, la paura ce l'hai
anche tu, basta non farsi prendere dal panico. E un malato ha troppe
cose da fare per farsi prendere dal panico". Troppe cose sono
le trasfusioni, i controlli, la terapia per eliminare il ferro.
Fino al 1997 solo aghi sotto la pelle per dodici ore al giorno,
cinque giorni alla settimana, adesso finalmente c'è una pastiglia.
Tutti i giorni, come per la pressione. Nessuna vergogna, "mentre
la macchinina con la pompetta faceva vergognare". Perché
si può anche dormire con un ago piantato nel braccio, o nell'addome;
ma uscire con una ragazza, a sedici anni, come si fa? E allora c'era
chi si rifiutava, e poi ne moriva. "Io se uscivo con una ragazza
cercavo di fare presto e poi correvo a mettermi l'ago, qualcuno
faceva finta di niente e andava a toglierselo, però era meglio
quando glielo spiegavo". Vallo a spiegare a quelli che guardano
le cellule da un microscopio e ne trovano una sbagliata, una da
gettare, che fare l'amore con una ragazza, anche con l'ago nel braccio
che magari fa prurito, non è così male, come vita.
A un certo punto Brunetta si è incazzato.
Parecchio. Quando è stata approvata la legge sulla fecondazione
assistita e i radicali, i genetisti, le madri in provetta, hanno
scatenato il dramma. Vietata la selezione eugenetica degli embrioni,
ma come, mica partorirete un figlio talassemico? Oscurantisti, cattivi,
autoritari. Un figlio così è una condanna alla sofferenza,
e via col ripescaggio dall'oblio della talassemia. "Come se
esistessimo soltanto come prova di non diritto alla vita, come esempio
di spazzatura di cui liberarsi, qualcosa che disturba la perfezione
della non sofferenza, e allora giù per lo scarico del water".
Brunetta si è incazzato, dice che anche gli altri pazienti
sono furiosi, ma non con le madri per le quali talassemico è
troppo, alle quali non bastano le forze. "Non potrei mai criticare
la scelta di una coppia dilaniata dal dubbio, che alla fine rinuncia",
dice, lui che avrebbe fatto volentieri un altro figlio, "e
sarebbe stato quasi sicuramente malato, perché mia moglie
è portatrice sana, ma sono successe troppe cose, e abbiamo
perso il treno: adesso è tardi". Ma l'arrabbiatura resta.
"Io mi arrabbio con chi non vuole più ricordarsi di
essere stato un embrione, con chi studia le cellule e non vede oltre,
con chi ci considera mostri da non far nascere: sono un mostro,
io?". Sui giornali è stato scritto anche questo, Miriam
Mafai si è chiesta sulla prima pagina della Repubblica che
cosa farà una madre quando al bambino di due anni comincerà
a gonfiarsi la testa e gli si allungheranno le ossa del femore.
Il fatto è che quarant'anni fa succedeva davvero, da trenta
non succede, non succederà mai più, almeno in Italia.
Brunetta si è infuriato e ha mandato una lettera alla Mafai,
le ha chiesto perché raccontasse frottole, lei che è
così brava e autorevole, lei che la gente l'ascolta; lei
gli ha risposto, privatamente, che quel che ha scritto l'ha detto
una senatrice della Lega in Parlamento, e che comunque loro due
hanno idee diverse: lei è contraria alla legge e lui no,
lei è per la ricerca sulle staminali e lui no, lei è
per la selezione eugenetica e lui no. |
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