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Lo Scientista e il Selvaggio
da La Stampa - 8 Marzo 2005
di Barbara Spinelli
Nell’universo
nefasto descritto da Aldous Huxley nel 1932, gli uomini hanno fabbricato
il mondo migliore cui anelano da tempi immemorabili: l’umanità
è rifatta, selezionando in provetta l’embrione vincente
e quello che sarà sottomesso senza per questo diventare infelice.
Prima ancora di venire al mondo, i nascituri di Brave New World
saranno trattati medicalmente in modo da trovarsi poi assegnati
alla casta degli eccelsi, dei meno eccelsi, o degli infimi. Gli
eccelsi appartengono alla classe alpha, e via via discendendo fino
alla classe ipsilon, cui appartengono coloro che in fase pre-natale
hanno ricevuto meno ossigeno. Gli ipsilon sono deliberatamente creati
disabili: capaci di compiere le mansioni più misere, non
conoscono tuttavia la fuga nel lamento. Naturalmente non manca qualche
ombra d’intranquillità: in quei momenti è consentito
consumare un oppiaceo - il soma - che non acuisce la coscienza ma
dà un senso d’estasi imbecille. In lontane riserve
vive un uomo chiamato Selvaggio, che avversa tutta quest’utopia:
ciò per cui si batte è il diritto a mescolare la gioia
con l’infelicità, il sesso con l’amore, l’estasi
imbecille con la malinconia.
È un libro che può essere di grande
aiuto, per ragionare sulla straordinaria rivoluzione scientifica
e tecnologica con cui l’umanità s’appresta non
solo a modificare la natura circostante, come avvenne nella prima
rivoluzione, ma a rettificare e addomesticare la propria stessa
natura e il proprio divenire uomo. Su queste cose si è cominciato
in Italia a legiferare, e su di esse saremo chiamati a pronunciarci
come cittadini, nel referendum che accoglierà o muterà
radicalmente la legge n. 40 sulla procreazione assistita, promulgata
nel febbraio 2004. Agitate da frantumazioni interne, destra e sinistra
hanno preso atto che un compromesso parlamentare è per loro
troppo difficile, e su spinta dei radicali sperano ora che la risposta
a interrogativi esistenzialmente così drammatici venga data
dalla società civile in prima persona. L’intervento
ripetuto e sempre più insistente degli uomini di Chiesa è
il risultato di questo passaggio da una politica che vuol dare a
se stessa le proprie norme a una politica condivisa con la società
e in parte affidata ad essa. Un passaggio che la classe politica
ha accelerato, nel momento in cui al suo interno si è formato
un vasto fronte di cattolici costantemente timorosi d’indisporre
i vescovi - a destra come a sinistra - e paralizzati dal biasimo
che essi immaginano possa venire dal Vaticano (biasimo di un eventuale
accordo con i radicali, biasimo d’un pensiero autonomo su
etica e scienza).
Ma
adesso che il referendum si fa non ha più molto senso lamentare
l’ingerenza delle gerarchie cattoliche. Ora che la parola
passa a noi cittadini (elettori, professionisti, giornalisti) è
naturale che anche i cattolici dicano le loro opinioni, dentro la
Chiesa e fuori. La società civile non è sinonimo di
classe politica, e davvero deleteria sarebbe una fusione fra le
due istanze, con l’insieme dei cittadini che si mette a scimmiottare
l’asfissiante e strumentale bipolarismo etico dei politici.
Sarebbe bipolarismo etico concentrare tutti gli strali contro una
Chiesa ritenuta oscurantista, o contro una laicità considerata
a-morale. Sarebbe un bipolarismo che dilata ancor più la
tendenza dei vescovi a invadere la politica, e la tendenza della
politica a farsi immobilizzare dai vescovi. I laici a volte neppure
se ne accorgono: il loro battersi perché le gerarchie cattoliche
cambino opinione sulla vita e la morte - adottando in questo i tempi
dei politici - immettono queste ultime ancor più nella politica.
In fin dei conti tradiscono se stessi: pretendendo speciali sforzi
dalla Chiesa, ignorano la separatezza che la contraddistingue e
la trasformano in un partito di governo.
L’unica cosa che ha senso è domandarsi quale sia la
via eticamente meno dannosa, per far fronte alla rivoluzione scientifica
che l’uomo sta inaugurando. Ha senso domandarsi se la legge
n. 40 permetta d’imboccare questa via, o piuttosto l’intralci.
Se vi siano cose comunque importanti, in quel che dice la Chiesa
o che dicono i laici e cattolici favorevoli a fecondazione artificiale
o libertà di ricerca. E per giungere al punto centrale: quel
che soprattutto ha senso è domandarsi se gli embrioni sui
quali si agisce siano già vita umana oppure qualcosa che
ancora non è umano; se la loro produzione in sovrannumero
avvenga per aiutare le persone bisognose (in tal caso la legge è
stupidamente punitiva: permette la produzione di embrioni in sovrannumero,
ma non sufficienti per garantire la riuscita dell’impianto)
oppure se il sovrannumero sia favorito all’unico fine di dedicarsi
agli esperimenti o all’industria genetica, senza più
vincoli di sorta.
Il punto è centrale perché ora
tocca a ciascuno di noi, interrogarci sull’origine e l’essenza
del nostro esistere, dunque sull’ontologia dell’embrione.
Interrogarsi vuol dire cercare di sapere se esso vada rispettato
come persona, dotata di diritti paragonabili a quelli dei già
nati, e quali siano i casi in cui questo suo diritto si scontra
contro il diritto di chi sceglie di far germogliare in sé
una vita se possibile non menomata (l’indagine pre-impianto
è solo consentita a scopo osservazionale nella legge, obbligando
le coppie ad accettare qualsiasi embrione, anche malato). Inoltre,
vuol dire domandarsi se alcune obiezioni all’impianto selezionato
dell’embrione non nascano da ipocrisia. Chi è contrario
a una legge che faciliti le indagini preventive dice di battersi
contro la violenza eugenetica, ben sapendo che poi la coppia ricorrerà
all’aborto, legalmente consentito.
Ma proviamo a vedere quel che v’è di giusto e di debole
nel pensiero degli uomini di Chiesa. Penso a opinioni come quella
di Monsignor Elio Sgreccia e anche a quella di cattolici laici come
Evandro Agazzi, che hanno scritto rispettivamente sul Corriere della
Sera e su Il Sole-24 Ore. La loro opinione sull’embrione non
è così discordante, e su di essa sarà utile
meditare. Ambedue parlano dell’essenza del divenire umano,
e coltivano un’arte del dubbio e dello sgomento di fronte
agli abissi della scienza che i laici non sembrano possedere. L’embrione
è una persona, per l’uno come per l’altro. Nel
momento in cui il seme maschile feconda l’ovulo femminile
dà vita a un ente che non appartiene né alla madre,
né al padre, né tanto meno al potere scientifico.
Dà vita a un Terzo, che non è proprietà di
nessuno e ha dunque già un attributo della soggettività
giuridica: l’inalienabilità.
Il
Terzo Venuto non è ancora uomo, dicono alcuni: o perché
non ha autoconsapevolezza (tesi di Giovanni Sartori) o perché
non ha né autonomia né un sistema nervoso centrale.
Altri, come il filosofo Severino, affermano che l’uomo in
potenza di Aristotele ha in sé anche la potenza di non divenire
uomo. Ma il Terzo Venuto ha una sua radicale alterità, e
questo suo venire resta un mistero che impone il rispetto, così
come si esige il rispetto del neonato o del malato mentale privi
d’autoconsapevolezza. Il Terzo Venuto è talmente un
mistero, a giudicare da quel che la scienza stessa ammette, che
perfino il primo articolo del codice civile appare obsoleto («La
capacità giuridica si acquista dal momento della nascita.
I diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati
all’evento della nascita»). La domanda su come comportarsi
eticamente di fronte al mistero esula dalla biologia e dalla scienza,
ma non dall’individuale coscienza di cittadini e politici,
ai quali vien chiesto di pronunciarsi non solo sull’essere
ma anche sul dover essere.
Quando si parla di oscurantismo conviene dunque sempre avere in
mente Brave New World. Il Selvaggio che scardina l’orrenda
utopia di Huxley è in apparenza un medievale, un retrogrado.
È anche il più umano, con i suoi dubbi attorno al
migliore dei mondi e all’estirpabilità definitiva del
male. Il selvaggio Sgreccia, pieno di dubbi come dice di essere
proprio per aver esaminato le più recenti scoperte scientifiche,
appare infinitamente meno dogmatico di tanti laici che hanno una
fede ottimista nella rivoluzione antropologica suscitata dalla scienza.
Non so se l’embrione abbia l’anima ma di certo gli scienziati
sospettano l’esistenza d’una persona potenziale, dice
Sgreccia. In questo dubbio viviamo, e aggirarlo non ci è
permesso. «Nel dubbio» meglio considerare l’embrione
come se fosse una persona e non ucciderlo. Difficile esser contrari:
fra 50 anni sapremo forse che il dubbio aveva ragion d’essere
e si proverà rimorso o dolore, per la facilità con
cui si son fatti esperimenti e manipolazioni. Con questo non si
vuol dire che monsignor Sgreccia indichi una via interamente praticabile:
indica una tensione e un timore etico che ci devono tuttavia abitare,
e che a mio parere aiutano a pensare e deliberare. Agazzi stesso,
cattolico, ricorda che la Chiesa sceglie spesso fra due mali (quando
accetta a certe condizioni la guerra, la legittima difesa, la pena
di morte) e che una legge non punitiva è essenziale in materia
di procreazione assistita perché sia trovata una via di mezzo
tra imperativi egualmente validi. Qui è la forza della Chiesa
e delle domande non necessariamente dogmatiche che essa pone.
Le debolezze della Chiesa sono di altra natura, a mio avviso. Sono
in certe chiusure a una società in enorme mutazione. Una
società che invecchia e si spopola, con donne che figliano
sempre più tardi e dunque con sempre maggiori difficoltà.
Una società che vede la famiglia spezzettata e che sta inventando
nuove forme di convivenza, per far fronte alla solitudine individualista.
La Chiesa è afasica di fronte a tali fenomeni, non mostra
la flessibilità che ebbe nel Medio Evo, quando assorbì
il diritto romano e le fedi pagane. A ciò si aggiunga la
leggerezza politica e soprattutto filosofica di parte della Conferenza
episcopale. La consegna dell’astensione che viene dal cardinale
Ruini, e la pressione sul governo perché il referendum si
svolga nel vuoto mentale delle vacanze estive, non sono propriamente
decorose e coerenti: se la questione è di sì primaria
importanza, se in gioco è l’essenza della vita e dell’uomo,
non si capisce come mai la società dovrebbe restare indifferente
e non pensare e non votare.
Forse solo il pensiero tragico può soccorrere chi si sforza
di riflettere, ma di questo pensiero pochi laici e cristiani sono
oggi capaci. Se è vero che l’embrione è in potenza
già una persona (e c’è l’assai fondato
sospetto che lo sia), la scelta della procreazione assistita può
imbattersi in dilemmi di natura tragica, mettendo appunto uno di
fronte all’altro, come nell’aporia della tragedia, due
valori egualmente validi e inderogabili. Si può decidere
di creare embrioni in sovrannumero per facilitare una procreazione,
ma poi ci si trova alle prese con migliaia di embrioni da congelare
e poi gettare. Possiamo indagare sulle malattie dell’embrione
prima dell’impianto (si eviterà l’aborto) ma
dobbiamo esser consapevoli che stiamo facendo cadere il tabù
dell’eugenetica, della selezione dell’uomo migliore
(la classe alpha di Huxley).
La
seconda rivoluzione scientifica pone dilemmi che possono incutere
spavento, e tutto sta sa a sapere che sono dilemmi, che si fa violenza,
che non tutto quel che è lecito edifica, e che nella scienza
il bene che si fa a se stessi o al nascituro è molto spesso,
troppo spesso, mescolato al male. Tutto sta a migliorare ancora
il nostro sapere scientifico, a non abbandonare il sapere aude di
Orazio, nella speranza che alcuni dilemmi possano esser superati.
Osare sapere è chiave preziosa. Vale la pena sapere che nella
nostra cultura la morte dell’uomo è stata anticipata
alla morte cerebrale (con il consenso della Chiesa) al solo scopo
di facilitare gli espianti. E che una cosa simile può accadere
con la nascita della vita. Vale la pena sapere quali tecniche saranno
necessarie in futuro (il congelamento dell’ovulo ad esempio,
oggi difficile), per evitare la produzione di embrioni in sovrannumero.
Paradossalmente, la parte del cardinale Bellarmino che si
rifiutava di guardare dentro il cannocchiale di Galileo caratterizza
più spesso i laici, oggi, che i cattolici.
Tutto sta a non vivere inchiodati nell’oggi,
ma a tendere verso un futuro che attenui i mali senza pretendere
d’estirparli per sempre. Dice Giuliano Amato che le domande
«stravaganti» sull’inizio della vita non interessano
solo chi parte da premesse religiose, e anche quest’affermazione
d’un laico è una promessa. Non abbiamo in mano che
espedienti e pensieri stravaganti, ma non è poca cosa: è
la saggezza con cui John il Selvaggio mette in causa l’orribile
Bel Mondo Nuovo, nel romanzo di Huxley.
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