UN MESSAGGIO SULL’AMICIZIA
DAL MEDIOEVO:
IL TRATTATO “L’AMICIZIA SPIRITUALE”
DI AELREDO DI RIEVAULX
di Massimo Guizzardi
Gli amici devono essere semplici,
comunicativi,
arrendevoli e appassionati delle medesime cose.
Aelredo di Rievaulx
Nell'amico si devono provare quattro cose.
La fedeltà, l'intenzione, il criterio e la
pazienza.
Per sempre ama chi è amico: anche se rimproverato,
anche se offeso, anche se messo sul fuoco, sempre
ama.
Aelredo di Rievaulx
Perché scomodare uno sconosciuto?
Ci
si rende conto, iniziando questa introduzione a un’opera,
come vedremo, così importante e anche attuale
per i suoi temi, dire qualcosa sul suo autore probabilmente
pressoché sconosciuto (o totalmente sconosciuto)
ai più e anche a chi dovesse contattare questo
sito. Dopo Bernardo e Guglielmo di Saint-Thierry,
entrambi francesi, Aelredo, un inglese, vissuto in
gioventù alla corte di Scozia poi fattosi monaco,
nato nel primo decennio del XII secolo, morto nel
1167. è il terzo scrittore dei primordi cistercensi
per ordine di importanza. Egli ci ha lasciato un’opera,
il trattato “Sull’amicizia spirituale”
(de spirituali amicitia) di importanza quasi unica
per l’argomento affrontato, l’amicizia
interpersonale tra due esseri umani (e vedremo più
avanti se, nonostante il contesto monastico maschile,
si debba considerare la donna estranea al discorso)
a sfatare anche il luogo comune diffuso pure dal celebre
“nome della Rosa” di Umberto Eco per il
quale l’unico interesse dei mistici sarebbe
l’amore di Dio, un amore visionario e fanatico,
che escluderebbe il rapporto interpersonale d’amicizia
tanto più se fra persone di sesso diverso.
L’amicizia è oggi un argomento molto
di moda per tutte le età, non solo per i giovani
o gli adolescenti: ma è spesso visto in modo
superficiale e banalizzato. Si parla di educazione
sessuale a tutti i livelli, dalla scuola alle strutture
sanitarie, ma si parla molto meno di educazione all’affettività.
Eppure questa dovrebbe essere la base portante di
ogni iniziazione ai rapporti interpersonali e sociali,
fra i quali la relazione sessuale è senza dubbio
fondamentale ma che dovrebbe essere vista come punto
di arrivo di un impegnativo cammino di maturazione
di tutta la persona. E
questo dovrebbe essere fatto già in età
infantile. Ora, cos’ha da dirci su questi problemi
così attuali un autore di novecento anni fa
per giunta pressoché sconosciuto? Saremo sorpresi,
nel corso dell’analisi della sua opera, di quanto
sappia essere profondo e sottile, attento esaminatore
dell’animo umano pressoché in tutti gli
stadi della sua evoluzione, e anticipatore di quel
personalismo cristiano contemporaneo che tanto deve
ad una lettura attenta ed attualizzata degli autori
medievali. Sì, perché i confini convenzionalmente
stabiliti tra medioevo ed umanesimo sono artificiali:
basti pensare che il lavoro del quale ci occupiamo
prende le mosse dall’opera di Cicerone “A
Lelio sull’amicizia” e ciò non
deve sorprenderci, perché tutto il Medioevo
fu permeato di cultura classica integralmente trasmessa
negli “scriptoria” monastici: inoltre,
come vedremo subito, se l” alto Medioevo”,
quello che va circa dal 600 al Mille, dice prevalentemente
“noi” ossia pone l’accento sul corpo
sociale e sull’ordine di un mondo gerarchizzato,
dall’XI secolo riapprende a dire “io”
sull’onda dei classici greci e dei latini influenzati
dal mondo greco, con profondità di analisi
che possono stupire gli odierni esperti di scienze
psicologiche.
La rinascita del XII secolo: tratti essenziali
Sul fenomeno del “rinascimento” del
secolo XII la bibliografia è sterminata, ma
noi accenniamo solo per brevi linee basandoci sulle
riflessioni che il domenicano Marie Dominique Chenu
fece in un opuscolo sul “risveglio della coscienza”
dedicato appunto al XII secolo. In questo secolo lo
sguardo, senza con questo distogliersi da Dio e dalla
società, si pone sull’uomo, sulla conoscenza
di sé (il socratismo cristiano) sulla responsabilità
(pensiamo solo alle riflessioni di Pietro Abelardo,
rivoluzionarie per l’epoca, sull’intenzionalità
dell’azione come capace di qualificare la stessa
come buona o cattiva (contro l’idea di una colpevolezza
oggettiva). Rimaniamo al campo filosofico e della
spiritualità, che è quello che ci interessa,
senza sconfinare in quello politico che ci porterebbe
a prendere in esame la lotta per le libertà
delle città e dei singoli (riscatto dei servi).
Si diffonde il desiderio di accostare direttamente
il testo sacro, non più mediato dalla predicazione
ufficiale dei ministri della Chiesa: da qui il pullulare
dei movimenti eterodossi. Il latino della Chiesa non
solo non è più la lingua parlata dal
popolo, ma i volgari nazionali o addirittura le lingue
non romanze, come quelle germaniche, assumono dignità
letteraria, producendo capolavori. la riflessione
sull’amore - e
qui veniamo proprio al tema che ci interessa - è
si condizionata dalle convenzioni “di corte”
ma non è solo un gioco intellettuale dei maschi,
come diversi studiosi e studiose affermano.
Emerge una nuova idea della dignità della
persona. Le opere letterarie narrano di amori trionfanti
tra persone di condizione diversa, impensabili nel
primo Medioevo. Ed è in questo quadro che si
colloca l’opera di Aelredo, del resto discepolo
diretto di Bernardo, col quale ebbe contatto molto
più che occasionali. L’aver dedicato
un’opera intera specificamente all’amicizia
lo colloca in un posto peculiare in questo tempo di
riscoperta della coscienza individuale. La sua opera
non a caso sarà dimenticata dal Trecento fin
quasi ai giorni nostri, in quanto la spiritualità
dell’Oriente, da sempre sospettosa sulle “amicizie
particolari” negli ambiti religiosi, influenzerà,
a partire dal Concilio di Firenze e dal fallito tentativo
di unione con la Chiesa bizantina, anche la spiritualità
occidentale, con la riscoperta ed esempio, dei Padri
del deserto, della Storia lausiaca, e delle altre
fonti del monachesimo orientale (Basilio in testa).
La situazione si conserverà nei conventi e
seminari fino alle soglie dell’ultimo Concilio.
Nel nostro autore, che, non dimentichiamolo mai,
ha passato la gioventù in una corte regia,
la prospettiva è ben diversa: anche lo stare
in allegra brigata, “in baracca” come
si dice dalle parti di chi scrive, pur non costituendo
certo il vertice dell’amicizia, è tuttavia
un primo gradino, ed ha un ruolo importante nell’educazione
del giovane; purché è logico, non si
facciano cose immorali. Poi è chiaro che ci
si deve elevare a livelli superiori, soprattutto col
crescere in età; ma la convivialità
non solo costituisce una tappa importante, ma resta
un momento fondamentale dell’amicizia, benché
sia vissuta in modo diverso, è chiaro, in ambito
laico, addirittura a livello di nobili come in una
corte, o in monastero.
L’eredità classica: Cicerone
Assai più noto dall’opera di Aelredo
è il dialogo”Lelio o dell’amicizia”
di Marco Tullio Cicerone, una delle cime della classicità
romana. Aelredo si dichiara apertamente debitore a
Cicerone, come abbiamo già detto: ma non c’è
niente di più sbagliato che vedere nella sua
opera un semplice rifacimento del classico romano
con qualche “spolveratura” cristiana.
A parte la semplice considerazione dei numerosissimi
esempi biblici (prima di tutto quello di Davide e
Gionata) citati da Aelredo, occorre considerare che
nell’opera ciceroniana è al centro la
“res publica”, lo Stato romano, e quella
“fides” fedeltà o lealtà,
alla quale si deve anteporre anche l’amicizia
è appunto quella verso lo Stato. Il significato
della parola “fede” in Aelredo diventa
molto complesso, poiché include sia la fede
teologica, sia la lealtà, tanto verso i pubblici
poteri che verso le persone a noi legate da qualche
obbligo. Un ambito dunque molto più vasto.
Ed è appena il caso di ricordare che la “benevolenza
e carità” ciceroniana è semplicemente
affabilità e gentilezza, mentre nel latino
cristiano il termine “caritas”, dopo essere
stato usato per tradurre il greco “agape”
nel capitolo 13 della prima lettera ai Corinti di
San Paolo, assume ben altro significato! Nientemeno
che quell’amore col quale il cristiano, per
grazia di Dio, e per quanto può, deve avvicinarsi
all’amore con cui il Padre, in Cristo, lo ama.
Perciò la definizione classica di amicizia
come “accordo nelle cose divine e umane in benevolenza
e carità” ha un significato molto diverso,
pur essendo ripreso letteralmente, nell’uomo
politico romano e nel monaco cistercense di mille
anni dopo. Analogamente, Cicerone sembra avvicinarsi
a una concezione gratuita dell’amicizia, respingendo
tesi epicuree e stoiche, che la subordinavano o la
nostro piacere, nel primo caso, o a vantaggi che possiamo
trarne, nel secondo: Ma analizzando l’opera
di Aelredo, vedremo che l’autore medievale si
spinge molto più in là, fino a giungere
ad anteporre il bene nostro a quello dell’amico
e a citare il passo di Giovanni. “Non c’è
amore più grande che dare la vita per gli amici”.
Eppure, come vedremo subito, Aelredo ha ben presenti
le caratteristiche dell’amicizia, quella che
per essere tale dev’essere ricambiata, e quelle
della carità.
Amicizia e carità
In questa presentazione dell’opera di Aelredo
non seguiamo la traccia dell’introduzione alla
traduzione italiana curata da D: Pezzini, che segue
rigorosamente la divisione dell’opera. Qui invece
si passeranno in rassegna alcuni dei tempi principali,
spigolando qua e là e cercando per quanto possibile
di fare opera utile anche per chi non ha intenzione
di sobbarcarsene la lettura. Abbiamo già detto
come Aelredo intenda valorizzare in senso cristiano
l’amicizia, che è quel rapporto reciproco
tra persone nel quale in pari grado, o quasi, si dà
e si riceve. Ciò la distingue nettamente dalla
carità, che secondo il dettato del Vangelo
si deve anche a chi ci odia. Abbiamo pure visto come
Aelredo non si rifiuti di ammettere che anche il mondo
non cristiano era giunto a riconoscere la positività,
la naturalezza, la necessità di questo rapporto.
E se di amicizia con donne non si parla in Cicerone,
essendo inteso che l’unico rapporto onesto con
la donna è quello coniugale, non paritario
e finalizzato alla prosecuzione della specie, ne troviamo
traccia in Aelredo, memore senz’altro delle
sue frequentazioni alla corte di Scozia.
Del resto nel cristiano Aelredo, nel monaco Aelredo,
troviamo esplicitamente affermata la parità
in dignità fra uomo e donna, fra moglie e marito,
e anche tra persone costituite a diversi livelli gerarchici.
In una società fortemente gerarchizzata quale
quella medievale, tanto nei rapporti politici quanto
in quelli ecclesiali, si afferma chiaramente la pura
“funzionalità” di tutto questo
e la sua irrilevanza a livello essenziale. Un’altra
traccia evidente del progresso della coscienza e della
dignità dell’uomo che fa del XII secolo
l’inizio vero dell’Umanesimo. Anzi si
può dire che l’umanesimo del Millecento
e del Milleduecento, fino a Dante, è un umanesimo
popolare mentre quello che siamo abituati a considerare
come vero umanesimo è un movimento elitario.
Il dovere cristiano di amare tutti non annulla l’amore
di predilezione, che se vissuto autenticamente, è
fonte di gioia e di arricchimento reciproco: autentico
valore umano, è anch’esso trasformato
ed elevato dalle virtù cristiane e dalla grazia.
“Ma allora, tra l’amicizia e la carità
non c’è nessuna differenza” chiede
Ivo, l’interlocutore della prima parte del dialogo.
“C’è invece, e grande” risponde
Aelredo “... La legge della carità ci
fa obbligo di accogliere nel seno dell’amore
non solo gli amici, ma anche i nemici (mt.5,44) Noi
però chiamiamo amici solo quelli cui non temiamo
di affidare il nostro cuore con tutto quello che ha
dentro, e così fanno anche loro, stringendosi
a noi in un legame che ha la sua legge e la sua sicurezza
nella fiducia reciproca. “ (Libro I, 31-32)
Caratteristiche dell’amicizia: ricchezza e
rischi
Classica definizione dell’amicizia, ripresa
da Cicerone ma a lui anteriore e probabilmente proverbiale,
“Idem velle et idem nolle” (volere e non
volere le medesime cose” è pure fatta
propria da Aelredo ma notevolmente arricchita. Abbiamo
accennato alla profondità di analisi psicologica
di cui questo autore è capace: fra l’altro
è importante dire che a differenza del “Lelio”
ciceroniano, “L’amicizia spirituale”
di Aelredo è la registrazione di un vero dialogo
fra lui e alcuni suoi confratelli, che interloquiscono,
criticano, si arrabbiano; insomma un rapporto fra
persone concrete, vive.
Ovviamente, dal punto di vista antropologico, Aelredo
molto più che a Cicerone è debitore
ad Agostino, come tutta la cristianità medievale:
e in particolare per quanto riguarda il
rapporto fra ragione e sentimento nella scelta degli
amici. Non solo il ruolo della ragione non è
da escludere, ma ben lungi da ogni sentimentalismo,
la valutazione alla luce della ragione delle caratteristiche
umane di coloro al quale vogliamo legarci con amicizia
è fondamentale: alcuni difetti infatti per
Aelredo escludono una persona dalla possibilità
di contrarre amicizia profonde e tali sono, per esempio,
l’irascibilità, l’insincerità,
la diffidenza e la loquacità (non saper mantenere
i segreti). “Ci sono certi difetti che impediscono,
a chi vi si trova impegolato, di osservare con costanza
le leggi e i diritti dell’amicizia:::Sto parlando
di coloro che per carattere sono irascibili, instabili,
sospettosi e chiacchieroni “. (Libro III, 14)
Tra veri amici infatti deve vigere fedeltà
e confidenza assoluta: tutto si deve poter dire ad
un amico, senza correre il rischio di veder sbandierati
al vento i propri segreti. Naturalmente, non è
che per gli irascibili, i mentitori, i chiacchieroni
non ci sia speranza: purché si sforzino di
liberarsi dai propri difetti. Precisa infatti Aelredo:
“ Se però ci sono in queste persone altri
aspetti della vita e del comportamento che piacciono,
allora si deve fare ogni sforzo per guarirli così
da renderli idonei all’amicizia” (ibid.)Così
potranno anch’essi essere scelti da qualche
persona onesta e saggia come amici. Va da sé
che è esclusa ogni autenticità nell’amicizia
di chi si associa per fare il male; ma questo era
già in Cicerone. Per quanto detto sopra, Aelredo
si appella soprattutto all’autorità dei
libri sapienziali dell’Antico Testamento (Proverbi
e Siracide) Potrebbe sorgere un problema: il cristiano
non deve perdonare anche chi rivela un segreto, o
peggio lo tradisce e gli fa del male? Sì, ma
non deve più accoglierlo nell’amicizia.
L’amicizia, l’abbiamo detto, è
un valore umano: questa è la grandezza di Aelredo,
aver focalizzato l’attenzione su un rapporto
che è sì perfezionato dalla grazia,
ma richiede la fedeltà a impegni riconosciuti
anche a livello di natura. Infatti sono come abbiamo
visto, la “ratio” e la “dilectio”,
la retta ragione, da una parte, e l’attrazione,
dall’altra, che guidano alla scelta di un amico.
Ciò si riferisce anche a rapporti fra persone
di diverso sesso: “Penso che spesso, non senza
piangere, avrai letto la storia di quella ragazza
di Antiochia che un soldato, con abilissima astuzia,
strappò da un lupanare (era una prostituta
dunque, N.d.A.) diventando poi suo compagno nel martirio
dopo essere stato, nel lupanare, custode della sua
purezza” (libro I, 25)
La storia di Santa Teodora d’Alessandria contenuta
nel Martirologio romano è probabilmente leggendaria,
ma possiamo supporre che Aelredo, prima di farsi monaco,
alla corte di Scozia possa aver avuto esperienze di
frequentazioni femminili anche nel quadro piuttosto
rigido dei costumi dell’epoca. Per i quali,
come dimostra la contemporanea tragica storia di Eloisa
e Abelardo, l’alternativa era sposarsi legittimamente,
lasciar perdere o andare incontro a violente forme
di faida. Riprendendo il discorso sull’amicizia,
Aelredo suggerisce che questa si debba, salvo grave
pericolo, sciogliere gradualmente e non di colpo:
e se possibile, si deve cercare di non far degenerare
l’antica amicizia in inimicizia vera e propria.”se
tuttavia vieni a soffrire ...da parte di colui che
avevi accolto nella tua amicizia, non devi rompere
subito il rapporto, ma scioglierlo con gradualità:::”
(Libro III,54) Al di là poi di considerazioni
che possono sembrare di un moralismo patrimonio di
tutta la sapienza antica e medievale, troviamo in
Aelredo spunti di umanità, e di analisi psicologica,
veramente sorprendenti. Troppo lunghe sarebbero le
citazioni da riportare, ma il nostro autore si districa
in casi complessi nei quali un sentimento d’amicizia
si mescola a rapporti sociali di superiorità
e subordinazione (parla per i monaci, ma pensiamo
oggi al mondo del lavoro, degli affari, della politica)
o alla considerazione, ovvia ma non troppo, che i
musoni, anche se ricchi interiormente, non troveranno
mai molti amici, rischiando così di vedere
sprecate le proprie doti, che tanto sono preziose
in quanto si condividono. Infine, la considerazione
che nemmeno la differenza di età è un
ostacolo all’amicizia, ovviamente entro certi
limiti. Per il resto, lo spazio di questo lavoro richiede
di rimandare chi voglia approfondire all’opera,
o a contributi su di essa, avvertendo che la bibliografia
è però perlopiù in lingua inglese,
come si può capire.
Conclusione: L’amicizia spirituale
Non sono poche le “coppie spirituali”
(Francesco e Chiara, Teresa d’Avila e Giovanni
della Croce; Francesco di Sales e Giovanna di Chantal)
nelle diverse epoche, che quest’operetta non
l’avranno neanche conosciuta. Ma quell’aggettivo,
“spirituale” che in Cicerone non c’è,
non è messo lì per caso. Infatti,
Aelredo pone sì come base dell’amicizia
l’accordo, l’affetto, la concordia fra
due persone, ma lasciando intendere che i beni più
preziosi da condividere sono quelli spirituali. E
se nell’amicizia strettamente intesa è
importante una pedagogia, un’educazione agli
affetti, nel condurre una persona a condividere con
un’altra i beni della grazia occorre più
ancora che esperienza, penetrazione psicologica, intuito,
quanto quella vera sapienza che viene solo dallo Spirito.
Eppure non parliamo di cose eccezionali: già
che siamo entrati nell’ambito specificamente
cristiano - e Aelredo ha ben chiara la distinzione
tra l’ambito della natura e quello della grazia
- in ogni amicizia tra cristiani, o in ogni amicizia
in cui sia coinvolto almeno un cristiano, fatta salva
la libertà di coscienza di ognuno, dovrebbe
essere chiaro che i beni i quali portano alla crescita
nella vita spirituale dovrebbero essere i più
importanti da condividersi anche se, senz’altro,
ciò va fatto una volta che l’amicizia
è veramente salda e provata nella sua autenticità.
Aelredo, l’abbiamo detto, è contemporaneo
di Bernardo di Chiaravalle e lo frequentò non
occasionalmente; gli è debitore sotto molti
aspetti e nell’opera di cui ci siamo occupati
troviamo citato anche il Sermone 86 sul Cantico, indizio,
sia detto per inciso, che la stesura delle ultime
due parti de “L’amicizia spirituale”
è tardiva. E sappiamo quanto le affermazioni
di Bernardo sulla pura gratuità dell’amore
abbiano fatto scorrere inchiostro nel corso dei secoli,
almeno fin quando le questioni relative alla vita
dello spirito avevano una qualche rilevanza e non
ci si trovava all’interno di un pastone dove
tutto ciò che è qualificato di “spirituale”
fa brodo proprio perché ciò che è
autenticamente tale non interessa più a nessuno.
Anche Aelredo, così come Bernardo nel primo
dei suoi sermoni sul Cantico dei Cantici, commentando
CT 1,1: “Mi baci egli con i baci della sua bocca!”
introduce la metafora del bacio: carnale - e qui vi
include anche quello tra marito e moglie, (Libro II,
24) - spirituale e intellettuale.
Ci occupiamo per brevità del secondo. “Il
bacio spirituale... è un sentimento del cuor;
non è un congiungere le labbra, ma un fondere
gli spiriti e lo Spirito di Dio rende tutto casto
e vi intride con la sua presenza il gusto delle realtà
celesti. Non troverei sconveniente chiamare questo
bacio il bacio di Cristo...” (Libro II , 26),
l’influenza di Bernardo è qui evidente.
Cosa sia più in dettaglio l’amicizia
spirituale, Aelredo lo descrive nel libro III con
una citazione diretta del De officiis ministrorum
(“I doveri degli ecclesiastici” di Sant’Ambrogio:
“...fare la volontà dell’amico,
confidargli i nostri segreti e tutto quanto abbiamo
nel cuore, non ignorare le sue cose più intime...
L’amico, infatti, non nasconde niente, .se è
sincero rivela il suo animo, come il Signore Gesù
rivelava i segreti del Padre” (Ambrogio, I doveri,
III, 136, cit. in Aelredo, o. c., III; 83).
Ci sembra di poter concludere proprio col riferimento
di Aelredo ai due baci, anche questa eredità
di Bernardo: il bacio carnale e il bacio spirituale,
ambedue importanti (anche quello fra uomo e donna,
nota bene) l’uno simbolo dell’altro, che
è effettivamente il bacio di Cristo, se è
autentico, anche quando è trasmesso dall’amico
fedele o dall’amato all’amata e viceversa,
e anzi proprio per questo. L’aspetto sacramentale
delle cose non va perso mai di vista: dove c’è
amore, benevolenza, lì c’è Cristo,
tra due fidanzati, tra due sposi, tra amici veri,
in una comunità che vive autenticamente il
Vangelo e pratica il servizio, e fin dove è
più difficile, nell’abbracciare anche
i lontani, gli indifferenti, gli ostili.
Massimo Guizzardi
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