L’ARTE DI VIVERE: SAGGEZZA
O FOLLIA?
L’ELOGIO DELLA FOLLIA DI ERASMO DA ROTTERDAM
di Massimo Guizzardi
Un
altro modo di essere umanisti.: potremmo cominciare
così, in riferimento a quanto scritto su Pico
della Mirandola, questo articoletto su Erasmo da Rotterdam.
Diciamo subito che la nostra attenzione si concentrerà
soprattutto sull’operetta, composta a casa dell’amico
Tommaso Moro nel 1506, che compare nel titolo e che
non ci dilungheremo sulle complesse vicende biografiche,
dando solo alcuni accenni sull’opera e sulle
controversie successive, in particolare con Lutero.
Ciò allo scopo di difendere Erasmo da accuse
a nostro avviso infondate, e eppure portate da tutta
una generazione di storici (ne possiamo citare tre
per esemplificazione, Huizinga, Tenenti e Centimori)
secondo le quali Erasmo sarebbe rimasto fedele alla
Chiesa cattolica per pura convenienza e non per intima
e forte convinzione. Certo lo stesso Elogio ci mostra
che secondo lui molte cose nella Chiesa non andavano,
ma la necessità di una riforma era generalmente
sentita, già da decenni, anche prima che si
esprimesse attraverso scelte che portarono come si
sa alla frattura della Riforma protestante al reciproco
non riconoscimento fra le parti. Cominciamo comunque
col dar conto di alcune notizie sulla vita e l’epoca
storica in cui Erasmo si colloca.
La vita e l’ambiente
Geert Gerrtz, nome modificato poi nella forma umanistica
latinizzata di Desiderius Etasmus (1466-1435) nasce
a Rotterdam, illegittimo, da un ecclesiastico e morirà
a Basilea da poco passata alla Svizzera e al Protestantesimo.
Tutta la sua vita fu un continuo peregrinare, tranne
i suoi anni in convento nella giovinezza; fu prete
e monaco, ma la sua vera vocazione fu di intellettuale
fino ad essere chiamato “il precettore d’Europa”.
Faticò non poco a trovare un indirizzo intellettuale
soddisfacente e che gli desse la grandezza, fra amore
per i classici latini e greci, ma anche per la Bibbia
e per i Padri. Non per gli Scolastici, che disprezzava,
in particolare Duns Scoto, spesso vittima dei suoi
strali nell’Elogio. Ma egli stesso non si rendeva
probabilmente conto di scagliarsi non contro il vero
Scoto e i veri dottori medievali, ma contro i loro
epigoni tardivi della Sorbona, che si perdevano in
questioni cavillose, per cui oggi si parla di “sesso
degli angeli” (ma citiamone una per tutte; cos’avrebbe
consacrato Pietro se, ordinato prete nell’ultima
cena, avesse detto Messa durante l’agonia di
Cristo in croce?) Contro questa evidente astoricità
della teologia si diede da fare Erasmo, in particolare
con l’edizione critica in greco del Nuovo Testamento
(per il metodo filologico gli fu indiretto maestro
Lorenzo Valla).
L’opera di Erasmo, sia quanto a scritti, lettere
ed edizioni critiche di classici cristiani e Padri
della Chiesa, è sterminata, tanto da non poter
essere qui elencata dettagliatamente. Diciamo solo
che per la sua diffusione gli fu indispensabile veicolo
l’ancor giovane strumento della stampa. Teniamo
presente che la stampa allora era come oggi il computer:
vi vigeva una deregulation generale, non c’erano
diritti d’autore, né copyright, la legge
arriverà solo dopo a stabilire norme per il
funzionamento; e purtroppo arriverà anche la
censura sia statale che confessionale.
Nel frattempo essa consentì quasi subito fra
gli alfabetizzati una molto maggiore diffusione dei
testi scritti. Editori di Erasmo furono fra i più
famosi Manuzio a Venezia e Froben a Basilea. Erasmo
scrisse esclusivamente in latino (la sua lingua madre,
il nerlandese, pur avendo già prodotto capolavori
letterari avrebbe consentito una diffusione limitatissima
alla sua opera e di questo egli si rendeva ben conto).
Il latino classico, elegante, era una riscoperta umanistica
e “rinascimentale” ma l’uso del
latino non era mai stato a quel tempo abbandonato
nell’alfabetizzazione: chi imparava a leggere
imparava automaticamente anche il latino. Erasmo poté
così raggiungere un pubblico vasto, compatibilmente
col fatto che l’alfabetizzazione era sempre
assai limitata. Era allora molto diffuso tra le persone
istruite di sesso maschile l’uso di far parte
del clero, anche solo con gli Ordini minori (così
anche Petrarca e Boccaccio) per aver accesso a strutture
di istruzione efficienti, praticamente le uniche che
esistessero. Del resto le istanze di riforma della
società e della Chiesa si presentavano in stretta
congiunzione: era tutta la società christiana
che anelava ad una riforma, dai governanti laici ai
ceti loro collegati al clero. E di questa aspirazione
troviamo una traccia profonda nell’Elogio della
pazzia
L’ELOGIO DELLA PAZZIA DI di ERASMO: l’arte
del vivere e la critica ai costumi
Tommaso
Moro è senza dubbio il più celebre degli
amici che Erasmo ebbe in vita, sia come autore dell’Utopia,
un altro testo fondamentale del Rinascimento, che
si colloca in parallelo con l’operetta erasmiana
ma che non è oggetto qui di esame; che soprattutto
per il suo destino di martirio e santità. E’
a casa sua che vide la luce in quindici giorni l’Elogium
stultitie o alla greca Encomium morie, l’operetta
nota a tutti come appunto Elogio della pazzia. Veramente
fu a quanto pare meditata durante un soggiorno in
Italia, e poi portata a termine in Inghilterra. L’opera
si presenta come un monologo della pazzia, la quale
vuole dimostrare che non alla saggezza, ma bensì
alla stoltezza deve tendere l’uomo se vuol essere
felice. Cominciamo con una citazione, che ci porta
dritto alla realtà della sessualità
e ci dimostra come sia lontana dal vero l’idea
di un’epoca premoderna sessuofoba e, diciamo
così “castrata” magari dall’esaltazione
dell’ideale monastico su quello coniugale. “Parliamone
apertamente, suvvia, come piace a me! Quali parti
del corpo sono chiamate in causa per procreare uomini
e dei?... E’ un membro così strano e
buffo che se solo ve lo nominassi, signori e signore,
scoppiereste a ridere! Ma è lui l’origine
della vita, la sacra fonte a cui essa attinge e non
il numero quaternario di Pitagora!”
Questa a dire il vero garbata ma arguta allusione
si colloca in un’apologia della pazzia come
fonte di piacere e in una polemica antistoica (sempre
viva in Erasmo) contro la rinuncia e la mortificazione
come segno di virtù; solo un pazzo può
pensare di sposarsi, dice Erasmo, perché solo
l’istinto sessuale (cioè una forza appunto
istintiva, irrazionale) gli può far superare
il pensiero della preoccupazione di convivere con
una donna per tutta la vita. C’è qui
un po’ della misoginia dell’epoca (è
più la donna un grattacapo per l’uomo
che non il contrario) ma commisurato a quella mentalità,
anche del sano realismo. Erasmo è all’avanguardia
su molte cose (pacifismo per esempio, e lo vedremo)
non sull’antisemitismo (definisce gli Ebrei
“popolo testardo”) condanna apertamente
l’uso di mettere a morte gli eretici, perdipiù
con l’inumana pena del rogo; lo possiamo considerare
un precursore senz’altro dell’idea di
libertà di opinione. Ma ritorniamo al punto
focale: Erasmo è decisamente contro Aristotele,
contro la razionalizzazione di ogni cosa, Ma “succo”
della sua operetta. lo vediamo già dal titolo,
è proprio nella convinzione che l’uomo
è condotto nei suoi scopi e nelle sue scelte
da una spinta irrazionale: cerca istintivamente il
piacere e la gloria, e in questo ha per guida la pazzia;
certo Erasmo non giustifica la cieca brutalità
della guerra e della violenza, ma in queste cose,
l’istinto è solo nel campo degli esecutori
materiali, mentre in chi organizza, governa, sia una
guerra che una congiura o una repressione, c’è
appunto il calcolo, la razionalità, la strategia.
In questo possiamo vedere Erasmo come diametralmente
opposto a Machiavelli ma anche distinto dal Savonarola
e dalla sua irruenta predicazione; in lui prevale
la fiducia che tutto si possa risolvere col dialogo
e la diplomazia La su a visione si rivelerà
utopistica;. le vicende storiche lo deluderanno ampiamente,
già in vita, anche se non farà in tempo
a vedere gli eccessi dei conflitti religiosi che verranno
dopo. Per convenienza, e per brevità, distinguiamo
nel proseguire l’esame dell’Elogio della
follia la critica della realtà ecclesiale da
quella del mondo sociale, anche se abbiamo già
detto essere in quell’epoca tra loro inestricabile,
e in particolare la critica di quell’intellighenzia
di cui egli stesso faceva parte, e che aveva illustri
esponenti sia nel clero che fra i laici, che è
giudicata, alla luce della follia, la più inutile
di tutte le categorie.
Il cristianesimo e la Chiesa
E’
noto come Erasmo sia considerato, nella sua critica
alla Chiesa, un precursore di Lutero: “Erasmus
posuit ova, Luteherus exculsit pullos” (Erasmo
fece le uova, Lutero allevò i pulcini) si diceva
già in ambito cattolico controriformistico
e in particolare, gesuitico. Certo Erasmo non è
tenero né coi teologi, né coi consacrati.
Ma sentiamo lui stesso: “Non pensano (i religiosi)
che Cristo non baderà a queste messe in scena
e chiederà soltanto all’uomo se ha osservato
il comandamento dell’amore. Il giorno del Giudizio
ci sarà...chi vomiterà salmi su salmi,
chi conterà centinaia e centinaia di giorni
di digiuno...chi si vanterà di aver partecipato
a tante cerimonie da non riuscire a farle entrare
in sette navi da carico, un altro testimonierà
di non aver mai preso in mano un soldo in sessant’anni,
se non con due paia di guanti, un altro si presenterà
con il cappuccio così unto e lurido che nemmeno
un marinaio lo infilerebbe in testa...” c’è
qui chiaramente una satira di osservanze delle diverse
Regole (per il non maneggiar soldi, quella francescana)
ridotte appunto a pura esecutività materiale
di un precetto, lontano dallo spirito delle origini.
Niente Erasmo risparmia della decadenza dell’”autunno
del Medioevo” ecclesiastico. “Si aggiungano
poi le sentenze morali... per esempio quella secondo
cui sarebbe minor reato uccidere mille uomini che
cucire i sandali a un povero in giorno di Domenica”.
Solo un esempio che Erasmo cita tra tanti altri possibili.
Abbiamo già detto della sua polemica contro
la casistica teologica e morale dei tardi Scolastici,
Ma Erasmo non si tira indietro neanche davanti ad
affermazioni gravi, che pure sa fondate, come l’accusa
rivolta ai sacerdoti, sia religiosi che secolari,
di tradire il segreto confessionale specie dopo aver
troppo alzato il gomito e il mancato rispetto della
castità; quest’ultimo aspetto è
talmente noto da tante testimonianze storiche che
molti collocano l’imposizione generale della
disciplina del celibato solo nel successivo concilio
Tridentino, ma comunque Erasmo parla di frati e monaci,
legati ai tre voti (poniamo che per i preti fosse
ancora concesso) che convivono stabilmente con donne.
La critica contro i prelati, Papi, cardinali e vescovi
si confonde un po’ con quella verso i regnanti
laici, anche perché a quei tempi erano categorie
socialmente affini, il vertice della scala diciamo;
le critiche ce le possiamo immaginare, lusso, amore
dell’adulazione, uso della violenza e della
guerra (che Erasmo rimprovera in particolare a Papa
Giulio II), è vero che anche Erasmo era precettore
di vescovi ed ecclesiastici, ma non peggiori né
migliori degli altri; rifiuta incarichi prestigiosi
nella curia romana, per quanto ami l’Italia
(specie per i codici manoscritti)non approfitta più
del lecito della realtà che sottopone a critica.
Quale il rimedio? Riconoscere che la sapienza del
Vangelo è in realtà follia, la follia
della Croce di cui parla San Paolo, che confonde la
sapienza del mondo. Troviamo soprattutto nel paragrafo
66 esposto questo punto: “Il Verbo (Verbum,
Logos, Parola) è follia per coloro che si perdono”(1^
Cor. 1,18). E’ una citazione paolina che viene
dopo una disamina di testi anche dell’Antico
Testamento, secondo un modo di leggere la Bibbia non
sempre consueto a noi contemporanei. Erasmo utilizza
soprattutto il Qoelet o Ecclesiaste, per un parallelo
vanità-follia (tutto è follia) che quadra
nell’opera e nelle intenzioni di Erasmo, più
che con una corretta esegesi. Del resto Erasmo ignorava
l’ebraico, né aveva, abbiamo visto, simpatia
per gli Ebrei. Anche per quel che riguarda il resto
dei libri sapienziali, Proverbi e Siracide, il tentativo
erasmiano di capovolgere la dualità sapienza
stoltezza a favore di quest’ultima non è
sempre convincente.
San Paolo invece gli viene a fagiolo per il suo tentativo
di dearistotelizzazione della teologia; non fa mistero
della sua maggiore simpatia per Platone. E qui c’è
da chiedersi se lo smontaggio dell’apparato
ecclesiastico medievale, Ordini monastici e mendicanti,
filosofia aristotelica eccetera non spiani davvero
la strada a Lutero: eppure la reazione contro il riformatore
tedesco sarà chiara e netta, fino al punto
che autori cattolici moderni definiranno la risposta
di Lutero De servo arbitrio al de libero chiedersi
di Erasmo la vera difesa del punto di vista paolino
e agostiniano contro la deriva paganeggiante e classicheggiante
del filologo di Rotterdam! Da altre fonti sappiamo
che Erasmo voleva limitare addirittura l’attività
di predicazione dei Mendicanti; che erano istituzioni
potenti, travagliati da divisioni interne, chi conosce
la storia delle 95 tesi di Lutero sa che furono scritte
per opporsi alla predicazione di un domenicano, Tetzel.
Lutero stesso era un Agostiniano. Ma allora, dobbiamo
considerare Erasmo un precursore addirittura del Lumi
settecenteschi (come alcuni fanno) e pensare che la
Chiesa debba senz’altro più a Sant’Ignazio,
Santa Teresa o a chi, nell’Ottocento ,epoca
liberale di soppressioni e persecuzioni, come Lacordaire
o Guèranger hanno garantito la sopravvivenza
delle Regole medievali fino ad oggi? In realtà,
niente ci prova che Erasmo volesse abolire il monachesimo,
ma solo tornare alle fonti, a quelle fonti cristiane
a cui ogni autentico rinnovamento nella Chiesa, compreso
quello dell’ultimo Concilio, dice di ispirarsi.
La società e la politica
Se
nel campo ecclesiale bersaglio preferito di Erasmo
sono frati e teologi, nel campo laico i suoi strali
si dirigono verso gli uomini di pensiero, più
che verso i governanti, quegli intellettuali che sono
definiti i più inutili di tutti gli uomini.
Qui non possiamo non trovare anche una garbata e intelligente
satira su se stesso. Pallidi, emaciati, usi a consumarsi
gli occhi al lume di candela, inabili a qualsiasi
lavoro pratico, inesperti di mondo “E portatene
uno ad una festa!” esclama a un certo punto)
impacciati con le donne, sono gli esseri più
inutili, più complessati, più da compatire
della società: E perché tutto questo?
Perché cercano la Saggezza, e non si lasciano
condurre dalla follia! Almeno principi, cortigiani,
governanti hanno i buffoni, ai quali spesso si rivolgono
per consigli seri piuttosto che ricorrere, diremmo
oggi, al loro “staff”.
Per il resto, non troviamo nell’Elogio una
dottrina politica (Erasmo è autore della celebre
Institutio principis christiani dedicata al principe
ereditario che sarà poi l’imperatore
Carlo V), l’Elogio è un’opera satirica
(ma fino a un certo punto, vedremo nella conclusione)
non un’esposizione di dottrine come le opere
di Machiavelli e Guicciardini. La satira contro re
e principi è financo scontata: amano i divertimenti
e la caccia più che il bene dei loro sudditi,
e sarebbero pronti a farla pagare duramente se uno
ricordasse loro che la vera nobiltà dell’uomo
è nell’animo (perciò Erasmo sconsiglia
di far questo discorso alle persone altolocate). Ma
torniamo alla critica agli intellettuali e alla sua
autoironia: niente vi è risparmiato, dal plagio,
all’appalto delle opere ad un illustre sconosciuto
che non ha esaurito il suo talento onde trarne gloria
(ricordiamo una scena del film il portaborse di Luchetti,
in cui Silvio Orlando, professore di lettere in un
liceo, fa un contratto con uno scrittore poco in vena
per scrivere romanzi a nome suo). Niente di nuovo
sotto il sole.
Ma soprattutto troviamo la constatazione che ciò
che muove tutto è l’amore di se stessi,
la Filautìa e qui Erasmo, come per il binomio
saggezza follia si lascia (volutamente?) prendere
dall’ambiguità e non sembra molto distinguere
tra l’egoistico amor proprio e l’amore
di noi stessi che anche evangelicamente dobbiamo avere,
se ne vogliamo far parte agli altri. E di queste alchimie
Erasmo è maestro, come abbiamo visto sopra
in breve per l’interpretazione della Bibbia.
Non solo non è un santo, ma non è neanche
uno da frasi tragiche alla Pascal, sul “Cristo
in agonia fino alla fine del mondo”. Ma questo
ci porta già verso la conclusione. In ogni
caso, Erasmo si rende conto che se Cristo ci comanda
di amare il prossimo “come noi stesi”
questo presuppone appunto certo non l’egoistico
amor proprio, ma un giusto amore di se stessi.
Conclusione
Abbiamo
aperto questo articoletto con una questione non secondaria.
allo scoppio della bufera riformatrice, Erasmo rimase
nel “vecchio campo” per convenienza, pro
bono pacis, per la sua prebenda? Anzitutto, non è
questa forse la prima domanda che il titolo del lavoretto
ci porterebbe a sottoporci, dato che esula dall’epoca,
e in parte, dai temi dell’elogio. L’elogio
della pazzia è appunto quello che dice il titolo,
ma la pazzia vi si presenta come ambigua: è
difetto o è virtù? Da un lato il mondo
è descritto come una gabbia di matti perché
tutti plagiano, adulano accampano meriti, vanno in
cerca di onore (che Erasmo evidentemente considera
più importante della ricchezza, poiché
di questa parla poco e del resto, al contrario della
celebrità, non ne ebbe mai molta, né
se ne curò) dall’altra la follia è
somma virtù, il non reprimere stoicamente le
passioni ma seguirle (non è da una passione
che si propaga la vita? Perché condannarla?)
in una polemica antistoica e antiaristotelica che
fa a pugni con la qualifica pur a suo tempo ottenuta
(anche se fuori mano, a Torino) di teologo.
Ma cosa fu Erasmo? Teologo? Filosofo? O semplicemente
(ma basterebbe per farlo grande) filologo? Non fu
da un’opera filologica di ritorno alle fonti
che scaturì la sua critica verso la realtà
presente? Quanto alla filosofia come formulazione
di grandi sistemi e concetti astratti, la rifiuta,
consapevolmente: per questo le storie della filosofia
gli danno un posto marginale. Scrisse in una lingua
ormai riservata ai dotti, per quanto “masticata”
da tutti gli alfabetizzati, ma abbandonata anche da
molti intellettuali a favore delle lingue nazionali
Così si trova emarginato anche dalla storia
della letteratura. L’unica disciplina che gli
apre il campo è la spiritualità, anche
se si può considerare attinente alla spiritualità
un’altra sua operetta, L’Enchiridion
militis christiani e non L’elogio della
pazzia. Recentemente è stato edito anche il
suo Catechismo, il lavoro che più di ogni altro
ne prova la perfetta ortodossia. Per quanto riguarda
la questione dell’atteggiamento verso la Riforma,
ricordiamo solo che si trovò di fronte a una
scelta difficilissima; nessuno poteva dire, quando
si trovò a decidere, come sarebbero andate
le cose: c’era solo il fatto che Lutero era
stato colpito da scomunica, ma senza avere tutti i
torti (la vendita delle indulgenze era davvero simoniaca).
Molti, come Ecolampadio a Basilea, che si fecero guide
della riforma erano suoi amici. Eppure egli non ebbe
dubbi nel prendere posizione, per quanto la Chiesa
cattolica mantenesse gli abusi, le incrostazioni,
le superfetazioni medievali e la Chiesa riformata
paresse attuare quel ritorno alle origini che anch’egli
auspicava. Ma quando si trovò di fronte al
rifiuto dell’eredità antica, per quanto
pagana, come preparazione al Cristo, reagì
da par suo. Era troppo imbevuto da quella cultura;
eppure proprio in un’opera della vecchiaia,
il Ciceronianusne sottolineerà i limiti rispetto
alla sapienza, pardon, alla follia cristiana.
Né filosofo né letterato né
teologo eppure insieme tutte queste cose: questo il
ritratto di colui al quale l’Europa ha dedicato
un progetto di scambio internazionale fra studenti
universitari, nel nome del “Precettore d’Europa”.
E se Pico aveva esaltato la dignità umana,
Erasmo ne mette in luce la stoltezza e la follia,
ma come aspetti positivi, lui che irrideva il costume,
accettato senza problemi da Pico, di vestire l’abito
di un Ordine religioso in punto di morte, come ipocrita.
E così pure il fatto di godersi i propri beni
in vita e pensare di salvarsi l’anima donandoli
solo alla fine, quando ormai non si possono più
tenere. Per sé del resto, dal punto di vista
economico non pretese mai molto. La dottrina e la
sapienza davano allora fama e gloria, ma soldi pochi,
ed egli era figlio bastardo di un prete, non figlio
di famiglia nobile come Pico. Ecco perché dell’uomo,
senza trascurare le altezze, ha saputo con tanta efficacia
descriverci anche i lati meno nobili.
Massimo Guizzardi
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