Terza B
Confrontando la canzone di Ligabue e il dialogo del bambino mi
ritrovo più nel testo di "Hai un momento Dio",
soprattutto nella frase "ci dovrà essere un motivo,
o no? Perché?". Questa è una domanda che io
mi pongo spesso in relazione alle cose che mi accadono, soprattutto
come reazione in risposta a quelle negative, visto che di solito
quando ci capita qualcosa di bello, si è sempre troppo
occupati ad essere felici e non si trova mai il tempo di ringraziare
o cercare un perché, ci sembra quasi una cosa normale,
che ci sia in qualche modo dovuta. Ogni volta che mi succede qualcosa
che mi sconvolge, qualcosa di doloroso, non riesco a non chiedermi
"perché?"
Credendo in Dio e tutto il resto penso sempre che ci sia davvero
un motivo che noi non riusciamo a capire e quindi di conseguenza
non accettiamo la cosa. Certe volte mi sembra di peccare di presunzione
perché pretendo di capire cose troppo grandi per noi come
la morte di un amico o di un parente ma credo sia normale porsi
delle domande anche perché, altrimenti, si vivrebbe troppo
passivamente, senza lasciarsi toccare più di tanto dalle
cose che accadono intorno a noi. Alla fine però tutto gira
intorno alla stessa questione: le domande ci sono, e le risposte?
Quelle no!
E allora il problema non è più cercare delle risposte
ma è come reagire a quello che ti accade sapendo che non
ti renderai mai totalmente conto del perché è successo.
Io sono un po' indecisa: rassegnarsi o perseverare? Sì,
se mi rassegnassi sarebbe molto più facile, piano piano
arriverei all'accettazione del fatto ma una parte di me non vuole
accettarlo, non vuole e basta. Se anche perseverassi col voler
capire, sapendo bene che non ci riuscirei, sarebbe quasi un temporeggiare,
un dover rimandare ciò che non voglio: l'accettazione della
cosa. Quale delle due vie sia giusta o sbagliata non lo so e non
so neanche se si possano ritenere giuste o sbagliate, adesso mi
trovo in una situazione che considero soprattutto UMANA
Penso che alla fine mi comporterò nel modo che più
di tutti odio: non ci penserò, o almeno tenterò
di non pensarci. Mi fa schifo, mi fa veramente schifo uscire così
da una brutta situazione ma diversamente non saprei che fare
Penso che questa riflessione sia stata molto condizionata dal
mio umore attuale che non è assolutamente dei migliori
infatti in tanti altri momenti le cose le vedo diversamente, non
così nere. Adesso ho dato una lettura di un aspetto della
vita vista da una sedicenne triste che non ha voglia di reagire,
normalmente non sono così, di solito è tutto molto
più colorato nella mia mente, comunque quello che penso
l'ho scritto, spero che voi abbiate le idee un po' più
chiare rispetto a me che in quanto a confusione sono veramente
il massimo!
Rita Borsari
Hai un momento, Dio?
Chissà se non rispondi solo per mancanza di tempo, se
non rispondi perché non ti va, se sono io che non ti capisco
o se non c'è nessuno che debba rispondere
Dio
cos'è, in definitiva?
Se qualcuno lo sa (o crede di saperlo), me lo dica, perché
io non ne sono tanto sicura. Perlomeno non ne sono più
sicura. La confortevole immagine del vecchietto con la barba,
passatami a poco a poco durante l'infanzia, è svanita,
per vari motivi, e fatico a trovarne una nuova.
L'unica certezza è che ho bisogno di credere: la vita è
spesso troppo complicata per farcela da soli, e sapersi amati
da qualcuno che può tutto è confortevole.
Va bene, credo
ma in cosa? Nel Dio degli ebrei, autoritario
e spietato, il "Signore degli Eserciti"? Nel "Padre"
dei cristiani? O nel "misericordioso Allah"? o forse
in un altro dio, entità ibrida, prodotto dalla mia mente
e dalle sue necessità? Ma allora, se io proietto le mie
necessità a formare un dio a loro immagine e somiglianza,
forse anche le grandi religioni sono proiezione a immagine e somiglianza
delle necessità collettive dei loro fondatori.
E l'entità, qualsiasi sia la sua natura, che chiamiamo
Dio, o dio, dunque esiste di per sé o come conseguenza
del nostro bisogno della sua presenza?
Ma esiste
ed è questo che conta. Abbiamo bisogno
di crederlo, e quindi lo crediamo. Non perché vivere, ma
vivere.
Dopotutto, mi dicono, in questi casi, quando si comincia a dubitare
di tutto, bisogna avere fede, fiducia, accontentarsi di quello
che è scritto: prima o poi il momentaccio passerà.
Cercare di andare oltre significa inevitabilmente scontrarsi con
dubbi e domande grandi, tremendi, tanto più grandi di noi
da risultare insolvibili.
"Quanto è grande l'universo?"
"Quando è nato Dio?"
Domande che ogni bambino ha fatto, ottenendo come risposta qualche
giro di parole, e, se richieste spiegazioni migliori, l'inevitabile
"Ora non puoi capire
quando sarai grande, forse
".
Ma una mente di bambino, curiosa di tutto, come può accettare
di non capire il concetto di infinito?
Nessuno può capirlo, ok, ma accettare di capirlo, forse,
col tempo. Dimenticarsene, conviverci senza mettersi troppi problemi
insolvibili [io non ce la faccio, voglio capire
].
Chi ha compreso il significato di infinito, la grandezza di Dio
e l'invisibile ordine del cosmo
i santi, i filosofi illuminati
o i pazzi. Che il passo tra questi non sia poi tanto lungo?
Abbiate fede
una fede incondizionata, una fede che possa
smuovere le montagne. Ma attenzione alle domande, sono pericolose,
le domande, possono addirittura farle crollare, le montagne. O
rinforzarle, chissà
ma perché rischiare?
Fare troppe domande può essere pericoloso, soprattutto
se colui al quale le rivolgo non ha la risposta: si irrita, e
nel migliore dei casi mi risponde con qualche stupidata, per poi
biascicare qualcosa tipo "questi impertinenti giovani d'oggi!"
Si rischia anche di sembrare noiosi
e forse lo si è,
in questa società nella quale le grandi domande sono tabù
ma il bisogno di sapere, di avere risposte chiare, di dialogare
alla pari con tutti, vagabondi e professori universitari, e non
avere il coraggio di farlo? "Abbi fede"
"le
risposte le avrai, a tempo debito"
sì, ma quando?
Quando?
C'è qualcuno che mi ascolta, o sono completamente sola?
"ma tu sei lì per non rispondere
o io non ti
sento, com'è?
Perché
nemmeno una risposta ai miei perché
"
Sono tante le cose che vorrei dire, chiedere
chi sono io?
Dove finisce quello che mi hanno insegnato a essere, e dove inizia
quello che sono? Ma andrei fuori tema
e non sia mai!
Lenzi Barbara
La canzone di Ligabue esprime dei dubbi, che credo, ogni persona
si ponga. Alla fine si tratta di credere o non credere; io personalmente
questa domanda me la sono posta spesso, ma con una indagine razionale
non sono giunta granchè in là. A questo punto mi
sono detta: "possibile che io sia l'unica indecisa su questo
pianeta?" ovviamente no, allora ho cominciato a sbirciare
i rapporti che avevano le persone che mi stavano vicino, con la
fede.
Ho invidiato la tranquillità, la sicurezza, la certezza
di quelle persone: hanno una forza incredibile ed emanano una
sensazione di bene. Nell'osservare in particolare le mie amiche
ho però riscontrato che sono tutte di famiglia molto credente,
che vanno sempre a messa. Ho pensato che allora la fede di una
persona dipende da dove nasce e che è inutile quindi cercare
una verità: se fossi nata a Islamabad probabilmente ora
sarei anche pronta a morire per un credo, o più semplicemente
se fossi nata in una famiglia religiosissima ora non avrei dubbi.
Qui la mia ricerca si interruppe senza alcun risultato e con
un senso di rabbia e insoddisfazione. E a questo punto mi è
giunto un aiuto esterno: una mia grande amica, credente fino all'osso
come pure la famiglia, mi ha proposto di partecipare al triduo
della casa della carità. Visto che era sotto pasqua e il
mio senso di indagazione religiosa si era rimesso in moto, accettai.
Eravamo sei ragazze in tutto, compresa la nostra catechista. Devo
dire che spesso quando c'erano iniziative della parrocchia, io
mi sentivo spesso spaesata; non sono molto praticante, per questo
ero a disagio, sentendomi estranea all'ambiente e non solo per
quanto riguarda la attività che si era in procinto di svolgere,
ma proprio per lo spirito con la quale la si affronta. Ebbene
là, alla casa della carità, questo muro che percepivi
fra me e le mie compagne, si è infranto. Nello stare insieme
agli ospiti, aiutarli, fargli compagnia, viverci assieme, insomma,
per tre giorni ho visto come vivevano, e quale fosse lo spirito
che anima quella comunità "retta", se così
si può dire, da due suore.
Ho capito cosa vuol dire la religione per quelle persone, il
risultato della loro fede. Esse sono aiutate, non si sentono sole:
vi è un clima di famigliarità e unione incredibile
e mi sono resa conto che Dio lo si trova nelle sue opere, nelle
persone accanto. Ho visto il bene che portano a tutte quelle persone
e che inconsapevolmente ho portato anch'io. Sono giunta alla conclusione
che Dio ha sempre cercato di parlarmi, stava a me tendere l'orecchio.
Non credo che si possa arrivare ad una verità del genere
da soli. Il messaggio di Dio in fondo lo porta ogni credente dentro
di sé, perché quindi non leggerlo negli altri e
farsi aiutare?
Giulia Marchesini
VERIFICA DI RELIGIONE!!!!!
Possiamo porci tante domande nella vita e nn sempre vicino a
noi c'è qualcuno in grado di risponderci . Spesso bisogna
darsi da fare , viaggiare, cercarle in biblioteca o su internet
per arrivare a qualcosa, ma molto più frequentemente anche
impegnandosi nn si arriva a niente .Cosi secondo me anche nella
ricerca di Dio ,di risposte da Lui ,ci si deve ingegnare il più
possibile nel vederlo nelle cose e nelle persone che ci circondano
,nella natura e nelle belle o brutte situazioni della vita . Sapendo
sempre , però, che sarà difficile ottenere risposte
certe e sicure, sapendo che in fondo ci resterà "il
solito dubbio ", che però, imparando a gustare il
fatto di credere a Qualcuno di più grande di noi, in modo
profondo e appassionato, senza prove schiaccianti, dovrebbe lasciare
il posto ad un senso di appagamento ,di pienezza , di consolazione
..
di salvezza. Infatti (come mi è stato detto ) "la
sapienza più grande è la coscienza che la conoscenza
trascende la mente umana"(la frase dovrebbe essere più
o meno cosi e se nn mi sbagli dovrebbe essere di un teologo/filosofo
ma nn ricordo di preciso chi.
L'unico punto allarmante di questo discorso è quel "dovrebbe"
: molte persone infatti non si accontentano , probabilmente sentono
di dover avere più sicurezze in materia ,più sicurezze
date da prove schiaccianti. In effetti la mentalità scientifica
che si è affermata in questi tempi porta a non credere
in cose che non siano "scientificamente dimostrabili"
, il che è abbastanza improbabile per quanto riguarda Dio.
Quindi per almeno questo punto , scienza e religione non mi sembrano
molto conciliabili, in quanto bisognerebbe cambiare radicalmente
uno dei due punti chiave delle due, (credere , ed essere appagati
da ciò , senza prove tangibili e credere esclusivamente
a fatti rigorosamente riproducibili in laboratorio o raggiungibili
tramite calcoli rigorosi e ripetibili ). Questo è dato
anche dal fatto che più la scienza umana scopre nuove informazioni,
più tenta di slegarsi e distaccarsi dalla religione , cercando,
tra le altre cose , di dimostrare che Dio non c'entra più
di tanto
..
D'altra parte quando si pensa alla "perfezione" raggiunta
dal corpo umano , all'universo e alla natura si fanno ben altre
considerazioni
g.m.
"Beati quelli che pur non avendo visto crederanno.."
Ma come si fa a credere in qualcosa che non vediamo? Siamo abituati
a credere a ciò di cui abbiamo le prove e non siamo abituati
a fidarci. E chi l'ha detto che se sentiamo delle risposte alle
domande che facciamo in preghiera non siamo SEMPRE NOI che cerchiamo
di risponderci? E' un dialogo da soli? Allora a che cosa serve?
Però se qualcuno sostiene che pregare è importante
servirà a qualcosa..
Forse dobbiamo fare un salto di qualità:
Quando sei bambino ripeti l'Ave Maria, il Padre Nostro o il Gloria
(perché è più corto..)a memoria; crescendo
ti accorgi che non bastano più, vuoi conoscere chi è
quel SIGNORE lassù e se esiste veramente o è come
Babbo Natale che da piccolo ti convincono che esista ma poi scopri
che è solo un gioco.
L'opinione di molte persone è proprio questa, cioè
che Dio sia un punto di riferimento per farsi coraggio nei momenti
di difficoltà, per ringraziarlo nei momenti di felicità
e per avere una ragione di vita. Penso che sia troppo facile comportarsi
così: Dobbiamo imparare a ringraziarlo nei momenti di difficoltà
e prenderlo come punto di riferimento in quelli di felicità
perché ci dia il coraggio per aiutare chi vorrebbe essere
felice come noi!
Una tra le migliaia di domande a cui non so dare risposta è
questa: Perché continuo a credere in Dio anche se vedo
la gente che bestemmia, o comunque non crede, che è felice,
ha le idee chiare e..anche anche la domenica mattina libera?!
Forse sono io la stupida che si mette dei problemi: voglio dire:
Scelgo di essere cattolica, faccio un sacco di confusione e spesso
ci sto male perché non capisco
.ma allora?!?!
Ne ho parlato con alcune persone e mi hanno fatto notare che
forse non sono tutti poi così felici, sarà un tipo
di felicità ma può essere apparente..
Una cosa che mi ha fatto riflettere molto è stato quando
alcuni amici mi hanno detto: "Ah, con la Chiesa di qua, Chiesa
di là voi non siete liberi di scegliere, siete costretti
ad andare a messa, a catechismo
"
Io penso che Dio ci abbia lasciati liberi e se io volessi non
ci metterei molto ad allontanarmi da lui ma almeno io POSSO SCEGLIERE.
Chi non crede, non conosce Dio e non può essere libero
perché è costretto dall'abitudine a non credere.
Va bene che non è il massimo alzarsi presto la domenica
per andare in Chiesa o comunque "perdere" addirittura
un'ora all'interno di quell'ammasso di mattoni con qualche decorazione,
qualche crocina e candelina qua e là
ma forse una
Chiesa non è solo questo.. c'è qualcosa o meglio
Qualcuno in più..
Qualcuno a cui dobbiamo tutto.. E' bello pensare che qualunque
cosa noi possiamo donare a Dio non può essere più
grande di quella che lui ha donato a ciascuno di noi, quindi non
possiamo DONARE ma al massimo RESTITUIRE: Qual è la cosa
maggiore che possiamo donare? Direi..La vita!!
Ma chi ce
l'ha donata?..Lui
PELE
In questo periodo tutti chiedono un perché per ogni cosa,
e non riescono ad aspettare pensando di essere gli unici ad avere
bisogno. Si pretendono risposte certe e non si ha un minimo di
fiducia. Nella canzone Ligabue chiede con insistenza di essere
ascoltato ma forse non si rende conto, come molte altre persone
,che per ascoltare una persona bisogna soprattutto avere la volontà
di farlo; infatti il Signore ci lancia tantissimi segni che noi
non sappiamo cogliere o ci parla ma noi ,troppo occupati dai fatti
nostri, non ascoltiamo mentre appena abbiamo un minimo bisogno
pretendiamo di essere ascoltati.
E non si pensa che magari in una persona "piccola" che
ci sia di fianco ci possa essere il Signore, o che servendo le
persone più piccole si possa servire il Signore ,o parlando
con loro si possa avere un dialogo con Lui ,noi abbiamo bisogno
di vederlo davanti a noi che Sia attento solo a noi e non consideri
le altre persone.
Soprattutto da Dio si vogliono risposte certe (che venga al bar
per risolvere i nostri problemi o che ci presti il suo gilè),oppure
che abbia un dialogo con noi come se fosse il nostro migliore
amico, ma penso che non ci sia un solo modo per parlare con Dio
ma la cosa importante è avere fede in Lui e fiducia in
una Sua risposta.
Spesso queste domande vengono poste da bambini che, pur recitando
le preghiere canoniche, non riescono a percepire la risposta di
Dio ;e si pensa che crescendo si riesca a trovare una risposta
ma spesso queste domande ritornano e ,a mio parere ,si riescono
a superare accrescendo la fede.
Nell'accrescere la fede ci possono essere momenti di grande sconforto
ma ,soprattutto in questi, Dio ci è vicino.
Spesso si pensa che la fede sia una cosa di routine mentre io
penso sia una cosa molto difficile quasi un seme che ci è
stato affidato per farlo crescere, ma in questo siamo guidati
da qualcuno che ci tiene per mano del quale ,però, noi
ci dobbiamo fidare "Beati quelli che pur non avendo visto
crederanno".
"Beati quelli che pur non avendo visto crederanno".
(Giovanni 20-29):
Questo dice Gesù a Pietro incredulo, chi forse potrebbe
rappresentare tutti quelli che non credono, quando appare.
Mentre in questo periodo si tende a credere solo a ciò
che si vede, che si può toccare con mano e che, se interrogato,
dia una risposta immediata e soddisfacente.
Un esempio può essere la canzone di Ligabue "Hai un
momento Dio?", nella quale il cantante rivolge a Dio varie
domande:Chiede soprattutto di essere ascoltato il prima possibile,
quasi si sentisse l'unica persona ad avere bisogno, e vari perché.
La canzone ha il tono di un dialogo con un amico incontrato al
bar, al quale puoi dire tutto e che ha sempre la risposta giusta
e , almeno in parte, penso che questa immagine sia errata. Secondo
me, infatti, Dio può sicuramente essere visto come un amico
sempre pronto ad ascoltarti, questo dipende anche da noi, ma Dio
non ti mette la risposta davanti , ti aiuta a scoprirla. Anche
se può sembrare una frase fatta le risposte si trovano
nella preghiera , in primo luogo, e nel servizio alle altre persone;
infatti Gesù dice "Chi è il più grande
tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come
colui che serve"(Luca 22-27).
Nella canzone Ligabue parla più volte di un gilè
che indossa Dio e chiede si dovrebbe indossare; con questo esempio,
a mio parere, l'autore vuole mettere in luce questo desiderio
che molte persone hanno di sentire la presenza di Dio con mezzi
materiale, quasi fosse una loro proprietà privata.
Dalla canzone si intuisce un altro problema di alcune persone,
infatti sembra che l'autore pensi la canzone in un momento di
bisogno, pretende di essere ascoltato e di risolvere i suoi problemi;
lo stesso fanno molte persone:pregano solo nei momenti di bisogno
e se non riescono a capire la risposta pensano che sia Dio che
non risponde.
Raimondi
Leggendo la canzone di Ligabue "Hai un momento Dio?"
si colgono delle domande "insistenti" rivolte a Dio.
Alcune di queste domande me le sono poste anch'io a volte come
"perché" e "ho qualche cosa in cui credere?".
Me le sono poste perché a volte dubitavo della fede, forse.
Forse da quando è morto Pallino. O forse da prima. Non
lo so bene ma so solo che da quando è morto spesso mi chiedo
"perché?". Perché proprio a lui, perché
adesso, perché così. Non abbiamo neanche avuto il
tempo di salutarlo.. ma poi arriva la rabbia: "nemmeno una
risposta ai miei perché!". Poi però ci ripenso,
mi pongo delle altre domande e capisco che non devo dire così,
non mi posso arrabbiare perché le risposte le devo cercare
io anche se forse non ci sono risposte a quelle domande. Le devo
cercare io dovunque e con i miei amici, quelli che sanno cosa
provo perché anche loro lo provano, quelli che sanno cosa
cerco perché anche loro lo cercano. Mi sembra normale porsi
delle domande, ma non pretendere delle risposte perché
non sempre esistono.
Molti dicono: "se ci fosse davvero un Dio farebbe finire
tutte le guerre o la fame nel mondo". Non sono d'accordo.
La sofferenza, il dolore, le pene fanno parte della vita così
come ne fanno parte la gioia e la felicità. Non credo che
Dio ci abbia dato il dolore, ma ci ha dato la VITA con tutti i
suoi pro e contro. Se poi al dolore ci aggiungiamo la speranza
che ti può dare la fede, allora quel dolore può
diminuire
forse.
Forse sto andando fuori tema però mi capita a volte di
non sapere più in cosa credo ma non mi sembra di essere
così importante da meritare una risposta subito, come invece
dice Ligabue: "lo so che fila c'è, ma tu hai un attimo
per me?. Magari l'ho interpretata male questa frase, magari non
c'era presunzione, però penso che le parole nn siano da
pretendere da Dio ma da cercare con lui. Ligabue dice anche "ma
tu sei lì per non rispondere" e poi più avanti
"o io non ti sento". La prima frase riassume quello
che ho detto, cioè che le risposte sono da cercare con
lui, la seconda pone un'altra questione: il fatto di non sentire
Dio, di non poter cogliere le sue risposte. Su quest'ultimo punto
non saprei bene cosa dire anche se forse quello che ho detto prima
ha spiegato anche questo punto.
Non so, certe volte mi sembra di non sapere più nulla,
forse davvero non so più nulla, forse non ho mai saputo
nulla e credevo di sapere. Non so, adesso l'unica cosa che desidero
veramente sarebbe di poter rivedere Pallino, di vederlo tornare
e, dato che sono sicura che tornerà, spero che torni prestissimo
Forse sto divagando, forse. Forse sono troppo insicura, forse
non so più cosa voglio
Va be', meglio concludere
qui
CIAOOO!!!
TOMMASINI SERENA
Credo che nella canzone di Ligabue, così come nel dialogo
tra il bambino e la madre, ci siano degli interrogativi molto
forti nei quali mi ritrovo completamente. Sebbene non mi fermi
molto spesso a pregare o riflettere, quelle volte che succede,
anche io mi domando se credere in Gesù ha un senso oppure
no. Mi sento un po' come Tommaso, il quale se non avesse toccato
le cicatrici di Gesù, non avrebbe creduto che l'uomo che
aveva davanti fosse realmente lui. Non riesco a credere fino in
fondo se non ho qualcosa di concreto, ma mi "adeguo".
Credo che anche Ligabue sia "credente": crede in un
qualcosa che non gli da risposta, che non lo ascolta.
Ed è per questo che è assalito dal dubbio se Dio
c'è o no e, come tutti, vorrebbe avere una prova concreta.
Si può notare questa ricerca della concretezza, quando
dice: ".. e indossi un gran bel gilet.." e alla fine,
gli chiede "Perché non mi fai fare almeno un giro
col tuo bel gilet?": sembra quasi che Ligabue, sapendo che
Gesù indossa un gilet, lo voglia "provare" e
indossare, per poter avere un qualcosa che possa appunto essere
toccato con mano e che indichi la sua presenza.
Anche io, forse troppe volte, mi chiedo: "Ma se esiste veramente
qualcuno, perché ogni volta che gli viene chiesto qualcosa,
non si realizza mai? Perché se questo Dio ha, come credo,
delle idee di pace e di tolleranza, non fa smettere le guerre
e rende tutti più "positivi"?".
Credo che le uniche persone alle quali Dio appaia in un qualche
modo, siano solo quelle che soffrono veramente, quelle che lo
pregano tante ore al giorno e che hanno pregato per tutta una
vita.
Ma allora, se vuole che qualcuno gli creda, perché non
decide di "apparire" senza questo tipo di clausole (molta
preghiera e sofferenze)?
Per tornare alla canzone, quando Ligabue dice: "Quanto mi
costa una risposta da te?" penso (come ho spiegato sopra)
che il prezzo da pagare per avere qualche risposta, sia molto
alto e destinato a poche persone
oppure, supponendo che esista
veramente un Dio, per vederlo, bisogna aspettare il proprio turno
per il viaggio di sola andata terra-paradiso
anche se poi,
dopo averlo visto (sempre se in paradiso si veda), non si sarebbe
comunque contenti, perché non si potrebbe dire a nessuno
che un ipotetico Dio esiste realmente
.
Francesca Vitalone
Filza prof. Non ci può schiaffare un lavoro
del genere il lunedì alla prima ora! Fino a quaranta minuti
fa ero tra le braccia di morfeo
tuttavia non ho voglia di
fare il ribelle e quindi proverò a metter giù qualcosa.
Dunque il testo ci propone una canzone di Ligabue, una specie
di monologo riferito a Dio, o chi per lui. Egli si pone tante
domande e le rivolge a Dio il quale, però, non risponde.
Non risponde?! Semplice: lassù c'è molta fila, è
difficile che trovi un attimo per te. Ligabue sembra avere una
crisi spirituale, cioè evidentemente crede in qualcosa
di sovrumano, responsabile di tutto, eppure non sa più
in cosa credere, non ha nessuno che risponde ai suoi perché.
"Ma tu sei qui per non rispondere", cosi Ligabue motiva
il silenzio. Bè il Liga non è certo l'unico a mettersi
questi problemi. Direi che un po' a tutti prima o poi viene il
cruccio: ma c'è Dio? Perché non mi risponde? Perché,
se mi vuole bene, non mi aiuta nei compiti in classe?
I filosofi si dannano l'anima per cercare una risposta
universalmente accettabile. La gente più semplice risponde
e basta.. C'è chi crede perché ha fede, chi crede
perché ha paura di pensare che ha sempre creduto in qualcosa
che non esiste, chi manda tutti al diavolo e viva senza dei e
chi magari si rivolge ad un'altra religione, un po' più
semplice. In questi casi l'aiuto divino è praticamente
nullo: non ti dà consigli, non cerca di convincerti, ti
lascia libero di pensare e decidere. Forse è meglio così:
cosa saremmo senza la libertà di pensiero, quello interiore?
Però così il problema rimane. E come fare allora?
Che ne so io, son mica Mandrake!
Queste cose vanno affrontate da soli, secondo me,
perché soltanto cosi si riesce ad avere un equilibrio di
pensieri, un'assenza di pregiudizi e timori. Voglio dire che nessuno,
credo, ha paura di parlare con sé stesso. In due è
più difficile, bisogna fidarsi totalmente dell'altra persona
e questa allo stesso tempo deve essere piuttosto "ferrata"
in questo genere di cose. Comunque ognuno fa come gli pare.
Rodolfo Zambelli
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