Le domande di un bambino

Le riflessioni dei ragazzi hanno avuto come spunto iniziale il confronto tra la canzone di Ligabue "Hai un momento Dio"
e il breve dialogo tra una mamma e il suo bambino di 5 anni.

Il bambino esprime alla madre il desiderio di voler "vedere Gesù". Lei resta spiazzata da una tale richiesta e istintivamente gli risponde di pregare. "Sempre bla bla bla", gli fa il figlio, contestando l'efficacia manifestativa della "solite" preghiere.

La mamma con un guizzo apologetico gli risponde che non ci sono solo le preghiere già confezionate e che lui potrebbe pregare Gesù aprendogli il cuore come ad un amico.

"Ma lui non risponde!", dice sconsolato il bambino, costringendo all'afasia la mamma catechista e ponendo così fine all'inatteso dialogo.

Questa piccola scenetta, che una maestra d'asilo mi ha detto non essere inusuale per bambini di quell' età, l'ho subito affiancata al testo della canzone di Ligabue inviatomi da un'amica.

Un uomo grande e un uomo piccolo che con "accanimento", cioè senza mollare l'osso, esprimono l'esigenza di voler incontrare personalmente il volto del Mistero. Il bambino passa dal "voler vedere" al "voler sentire", desiderando sfruttare queste fondamentali facoltà della conoscenza. Inutilmente, però.

Cosa rispondere a questo bambino? E a Liga che dire? Sottolineo solamente che tra i testi composti dai ragazzi ce ne sono dei veramente belli, commoventi, intensi, importanti...
Se volete potete dire la vostra nella sezione Commenti.


Foto di Massimo Zambelli

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Hai un momento Dio?

C'è un po' di traffico nell'anima: non ho capito chi è lei.
C'ho il frigo vuoto, ma voglio parlare,
perciò paghi te.
Che tu sia un angelo od un diavolo ho 3 domande per te:
chi prende l'Inter?
Dove mi porti? E poi, soprattutto:
perché? Perchè?
Ci dovrà essere un motivo, o no? Perché?
Forse la vita la capisce chi è più pratico.

Hai un momento Dio? No; perché sono qua,
insomma ci sarei anch'io.
Hai un momento Dio? O te, o chi per te: avete un attimo per me?

Li pago tutti io i miei debiti: se rompo pago per te.
Quanto mi costa una risposta da te?
Dì, su: quant'è?
Ma tu sei lì per non rispondere,
e indossi un gran bel gilé

e non bevi niente o io non ti sento: com'è? Perché?
Perché? Ho qualche cosa in cui credere? Perché?
Non riesco micca a ricordare bene che cos'è.

Hai un momento Dio? No; perché sono qua,
se vieni sotto offro io.
Hai un momento Dio? Lo so che fila c'è, ma tu hai un attimo per me?

Nel mio stomaco son sempre solo;
nel tuo stomaco sei sempre solo;
ciò che sento, ciò che senti, non lo sapranno mai.
Almeno dì se il viaggio è unico, forse c'è il sole di là.
Se stai ridendo io non mi offendo, però perché?
Perché? Nemmeno una risposta ai miei perché!
Perché non mi fai fare almeno un giro col tuo bel gilé?

Hai un momento Dio? NO; perché sono qua,
insomma ci sarei anch'io.
Hai un momento Dio? O te o chi per te: avete un attimo per me?

 

 




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Il Gilè di Dio

Cactus. Terra spinosa e arida. Vita dura ed essenziale. Sotto un cielo che muta per le folate di un imprevedibile vento si svolge la difficile vita dell'uomo. A volte questo cielo tocca la terra con i colori dell'arcobaleno: cerchio di armonia, manto di pace, carezza di energia che rinfranca e dona all'uomo un raggio della laboriosa speranza, di quella speranza che sola ne anima l'azione.

Della canzone di Ligabue mi ha colpito la descrizione di Dio come di uno che indossa "un gran bel gilè". Un indumento semplice e così bello da essere desiderato da chi lo guarda, ma che subito gli lascia addosso l'amarezza della delusione perché per una specie di avarizia del divino possessore la gioia di quella bellezza non può essere né provata né partecipata. Il gilè di Dio è per me l'arcobaleno che adorna coi suoi colori le spalle del cielo. Una luce che in effetti è irraggiungibile. Più ci avviciniamo e più lui si allontana.

Un gilè non si può dire propriamente un vestito e neanche un accessorio. Se si escludono i cacciatori, i pescatori e i fotoreporter che ne hanno fatto, trasformandolo con mille taschine, il loro emblema, si potrebbe definire abbastanza superfluo. Un oggetto che aspira alla Pura bellezza, e cioè a non avere una finalità pratica. Dire questo di Dio è interessante perché lo eleva dalla sfera dell'interesse e dell'utile per collocarlo in quella del "lusso", inutile e gratuito. E' stato il teologo olandese Schillebeeckx a parlare di Dio come del "lusso della vita". E' vero che Dio serve ed è utile. Verissimo. Egli è il nostro eccelso "tabbabuchi". Lo usiamo quando abbiamo bisogno e lo lasciamo appena siamo in grado di muoverci da soli. Un tappabuchi ha però vita breve e può al massimo essere rispettato ma non amato. L'amore non poggia sull'interessata necessità ma su un'interessante gratuità. Sullo splendore che incanta e non sulle catene della necessità; sulla Libertà e non sulla costrizione.

Le risposte che cerchiamo a volte sono nel volto del Dio vicino più che nelle parole di una formula. Ma il Dio vicino è il Dio crocifisso, colui che ha steso le mani per abbracciare il mondo. Per questo non lo avvertiamo immediatamente, perchè lo cerchiamo e lo esigiamo nella forma mondana di potere, forza, imponenza, mentre egli ha scelto di mostrarsi nel fallimento e nell'impotenza della Croce, per dare speranza ai falliti e agli ultimi.

Per il cristiano la Croce è l'arco glorioso che unisce cielo e terra. L'arcobaleno di Noè è l'anticipazione profetica della Croce gloriosa. Sapere contemplare nella Croce la Gloria di Dio che incanta il cuore dell'uomo è la sapienza suprema. L'arte difficile di cui Giovanni evangelista è maestro (Gv. 17, 22-26):

«...La gloria che tu hai dato a me, io l'ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola.

Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me.

Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato; poiché tu mi hai amato prima della creazione del mondo.

Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; questi sanno che tu mi hai mandato. E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l'amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro».