La Croce
e il male
di Massimo Zambelli
"Ma
dov'era Dio mentre accadeva tutto questo? Ho pensato: forse si
era distratto". Così ha detto in un'intervista
televisiva il sacerdote di uno dei paesi colpiti dal terremoto
nel Molise. E al giornalista, scosso dalla forza di quella frase,
ha aggiunto, quasi a mitigare una prima reazione a caldo: "Adesso
penso che Dio era qui, tra noi, come sempre".
Quella domanda, usata
come titolo dell'editoriale di Eugenio Scalfari su "la Repubblica"
di domenica 3 novembre, domanda che Scalfari, da non credente,
definisce blasfema, è stata il
punto di partenza per le riflessioni dei ragazzi qui raccolte
(vedi il Menu qui
sopra).
E' una domanda impegnativa
che colpisce proprio perchè posta da un sacerdote che,
nell'opinione comune, dovrebbe essere sempre attrezzato di certezze
inscalfibili per poter consolare chi si trova nella prova. Ma
a testimoniare che si tratta di una domanda che ognuno di noi
può fare è stata la terza pagina del giornale cattolico
"Avvenire" che titolava con un eloquente "Perchè?
Gli interrogativi dell'uomo di fronte al dolore innocente",
la serie di articoli in cui dava conto di altre tragedie che hanno
colpito giovani studenti: nel 1944 un terremoto a Gerlo ha ucciso
quasi 200 alunni, e al Salvemini di Casalecchio un aereo è
entrato in classe uccidendo la quindicina di ragazzi e ragazze
che la frequentavano.
Per qualcuno possono
essere domande inutili. A cosa serve chiedere se già si
è sicuri di non ricevere risposta? In tanta professione
di incertezza viene paradossalmente espressa la fermissima convinzione
di trovarsi di fronte a un mistero inesplorabile. Io trovo invece
che siano domande da attraversare, con la fiduciosa speranza di
non essere soli: "Se dovessi camminare
in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu
sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza"
(Sal. 23,4). Il bastone che Dio ci ha dato è la Croce di
Cristo. Senza
quel vincastro subiremmo l'aggressività delle tenebre e
il cammino della vita verrebbe paralizzato dal terrore del male
e dall'orrore dell'equivalenza di bene e male.
La Pasqua di Gesù
Cristo, il cui segno è la Croce, compie contemporaneamente
una doppia, fondamentale, affermazione: c'è
il male, e il male è vinto. Senza la Pasqua,
in un ambito religioso sarebbe irrappresentabile il volto e il
cuore di Dio nei confronti del male. Con chi sta Dio? Cosa pensa?
Cosa fa mentre il male sembra vincere? Credere in Dio senza il
vincastro della Croce lascia l'animo dell'uomo che si interroga
con un dubbio di fondo sull'amorevole interesse di Dio nei confronti
delle sue creature. Egli è il sovrano, in alto, lontano
dalla "pugna di quaggiù", superiore ad ogni vicenda
terrena. Dio senza la Croce è il "tre volte Lontano".
Forse nemmeno sente le grida dei suoi figli. Forse non siamo nemmeno
suoi veri figli. Dov'è l'Altissimo mentre qui la notte
scende e la bufera infuria? Il Dio crocifisso
che subisce perfino l'abbandono del Padre per essere vicino agli
"abbandonati", a coloro che si sono allontanati dal
calore della Grazia, è quanto di più prossimo si
possa immaginare. E' la salvezza dell'uomo, ed è la salvezza
di Dio dal sospetto di indifferenza. Il Dio appeso al legno ignobile
della Croce fa di Dio il "Trisaghion", il "tre
volte Santo".
* * *
"Sono
stato a San Giuliano, ho visto la scuola distrutta...
Ho desiderato credere in Dio
per bestemmiarlo.
Ho desiderato credere in Dio
per fargli sapere quanto profondo disprezzo nutra per lui.
Ho desiderato credere in Dio
per potermi immediatamente dimettere da credente".
Leonardo
B. (News Group Ateismo)
Ma ecco la tentazione.
Senza Dio, senza il Dio cristiano, non si risolverebbe il problema
del male? Non è contraddittorio un Dio buono e onnipotente?
O è uno o è l'altro. Meglio, come dice Scalari,
far coincidere Dio con la natura e rassegnarsi al caleidoscopio
degli eventi: "Egli
era lì come sempre perché Dio altro non è
che dolore e gioia che si alternano per ogni creatura vivente,
uomo passero albero farfalla fiore; si alternano a caso, senza
altro disegno che quello della vita e delle sue forme". Mutevolezza
delle forme. Forme di gioia, forme di dolore. Alternanza delle
equivalenze. Forme tutte da accettare nella loro indistinguibile
valenza. E' questo che non si pensa mai approfonditamente. Si
glissa. Per toglierci dall'impaccio si elimina Dio dall'orizzonte
del pensiero. Il tribunale ha sentenziato che meglio per lui sarebbe
non esistere. Ma non si capisce che
se Dio non esiste il male diventa normale.
Senza un Dio creatore
questi concreti uomini e donne che abitano il mondo sono radicalmente
indifferenti per lo stesso mondo. Che ci siano o non ci siano,
al mondo non importa nulla. La presenza dell'umanità o
di un singolo essere umano non conta nulla. In una visione coerentemente
atea si dovrebbe comprendere e accettare che la materia-energia
del mondo-natura non hanno niente di filantropico. Il mondo non
è umanista. E l'uomo, come parte del mondo, può
essere coerentemente inumano. Eliminare il Dio creatore dall'interpretazione
della realtà ha il costo altissimo di livellare, per coerenza,
la differenza tra bene e male. Tutto è legittimo e giustificato
nel suo casuale e giocoso apparire. Il divenire è completamente
innocente e le sue forme sono equivalenti.
Il Caso, che nella
prospettiva atea sostituisce assurdamente Dio come Genitore del
mondo, non prevede nessun "Dover
essere" dell'uomo e dell'umanità. E senza
"dover essere" non ha senso il dolore per il "non
più essere" causato da malattia e morte. La casualità
e l'inutilità dell'uomo eliminano il dovere di essere (il
bene) e la resistenza alla minaccia del male. Indifferenza e accettazione.
Il
fatto che l'uomo di fronte a dolore, ingiustizia e morte avverte
questi fenomeni e li giudica come "male" è per
me un segno profondissimo dell'assurdità dell'ateismo coerente.
L'uomo che soffre e che grida al cielo, perfino imprecando, per
il male che subisce, annuncia la possibilità che il mondo
non sia tutto, che non sia figlio del Caso ma di una Mente Amante.
Il grido di ingiustizia squarcia il cielo dicendo che c'è
un ordine infranto, un dover essere non eseguito, un disegno minacciato.
Afferma il male e spera che il Cielo fermi il male. La Pasqua
di Cristo è la prossimità del cielo alla terra;
Gesù è l'Emanuele, il
Dio con noi, come significa questo nome profetico.
Ma è anche la prossimità della terra al Cielo di
Dio. E' la vittoria sul male. Vittoria da dentro. Senza eliminare
il mondo. Lasciando libertà all'uomo e alle cose. Lasciando
al mondo il tempo di nuove nascite, di nuove creature che possano
abitare l'Arca del Regno.
Nella foto di gruppo
di quella classe cancellata dal terremoto è visibile sulle
teste dei bambini il crocifisso sul muro.
Per televisione ho visto un crocifisso sul muretto del cancello
di ingresso della scuola crollata. Sembrerebbe una protezione
fallita. Sembrerebbe quindi un inutile segno che non è
servito a proteggere quei figli. Un segno da eliminare perché
vano. Non tanto perché offenderebbe le convinzioni di altri
credenti o non credenti. Da eliminare perché fallimentare.
Ho cercato di mostrare il contrario. Senza quel segno, o Dio è
troppo lontano, o ad allontanarsi è l'uomo e il suo valore.
Nell'apparente fallimento del Dio crocifisso c'è l'unica
speranza per il nostro viaggio nella "valle oscura",
speranza che dà fiducia al viaggiatore, che consola le
ferite, che arma la resistenza, che rinforza chi è caduto,
che consola chi non può rialzarsi. Dobbiamo meditare la
Croce, imprimerla nei cuori e nella mente. Senza di lei il viaggio
nella notte non ha una casa.
Massimo
Zambelli
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