Magdalene
Recluse con la colpa in
corpo di Roberto Escobar
I Magdalen's Institutes
di Vittorio Messori
Conferenza stampa
del regista Peter Mullan
Recluse con la colpa in corpo
Articolo di Roberto Escobar
(Il Sole 24 Ore, domenica 15-09-02)
Inginocchiata
davanti a Sorella Bridget (Geraldine McEwan), Margaret
(AnneMarie Duft) recita il Padrenostro. Dopo quattro
anni di paura, sono queste le prime parole che la
giovane donna pronuncia in piena, consapevole autonomia
di fronte alla sua persecutrice. È questo il
momento più intenso di Magdalene (The Magdalene
Sisters, Gran Bretagna, 2002, 119'). L'una di fronte
all'altra, stanno non solo due persone, ma anche e
soprattutto due condizioni umane. La prima, forte
della sua presunzione d'autorità, si nutre
di prevaricazione, e in questo si autogiustifica nel
nome di Dio. L'altra, priva di qualunque potere, disperatamente
abbandonata, all'amore paterno di quello stesso Dio
si rivolge per vedersi riconosciuta come essere umano.
Dice Peter Mullan d'aver voluto usare un cinema crudo
e sicuro, per raccontare la storia di Margaret, di
Bernadette
(Nora-Jane Noon), di Rose "Dorothy Duffy), di
Kathy (Britta Smith), di Crispina (Eileen Walsh) e
di tante altre donne derubate di se stesse. E crude
e sicure sono, certamente, le prime sequenze del suo
film. Non servono discorsi, per raccontare le condizioni,
le cause, il contesto che porta le protagoniste nell'inferno
d'una Casa Maddalena. Tutto invece è affidato
alle immagini, a un montaggio veloce, intenso, "doloroso"
per noi che siamo in platea.
Magdalene,
dunque, inizia mostrando - crude e sicure - le immagini
di un matrimonio. La regia inquadra dapprima volti,sguardi,
gesti d'una piccola comunità in festa. Poi,
sempre più selettivamenre, segue altri gesti,
altri sguardi e altri volti, fino ad arrivare a uno
stupro, che inorridisce per la sua "innocenza".
Tutto accade come si suppone accada: con una violenza
domestica, con una negazione in buona coscienza d'un
corpo cui non è attribuito alcun valore d'umanità.
Poi, ancora senza parole né giustificazioni,
la macchina da presa mostra l'autodifesa della comunità,
ferita dalla violenza sessuale. Una ferita, questa,
che non deriva dalla colpa dello stupratore, ma proprio
dal fatto dello stupro. Occorre dunque eliminarlo,
quel fatto, eliminando in senso letterale - negando
e cacciando fuori dai confini del gruppo - il corpo
su cui il crimine è stato compiuto. Quella
di Margaret è una colpa ben più grave
di quella del suo stupratore: una colpa oggettiva,
che sta dentro di lei, e che nessuno (pseudo)amore
matemo o paterno è disposto a perdonare.
Lo stesso accade per Bemadette e per Rose. Questa
è una ragazza madre, quella è bella,
è orfana, è per così dire esposta
con il proprio corpo al desiderio maschile. In loro,
ossia proprio nei loro corpi, la colpa, vive oggettivamente
e materialmente. Che si sia o non si sia già
manifestata, in ogni caso le condanna a essere eliminate:
a essere, appunto oggettivamente e materialmente,
negate e cancellate.
Per la sua gran parte, Magdalene è la cronaca
terribile e atterrita di questa cancellazione e negazione.
Chiudendosi nell'universo totalitario della Casa gestita
da Sorella Bridget, la macchina da presa racconta
i rituali consolidati di un "orrida saggezza
istituzionale, il cui fine è l'annientamento
umano. Come sa qualunque
carceriere e aguzzino, imporre la segregazione, negare
l'identità e addirittura il nome, invadere
i corpi, significa indurre nelle vittime prima il
sospetto e poi la certezza d'essere colpevoli. Solo
così, solo trovando in se stessi la causa della
sofferenza, solo svalutandosi da sé, a quella
stessa sofferenza si può cominciare a dare
senso. Solo così, ancora, per un paradosso
cui sempre s'affidano i persecutori, in qualche modo
la si può attenuare.
Non sembra esserci infatti altra possibilità
di liberazione, per le recluse. Non c'è fuori
cui possano rivolgersi. Il loro carcere non è
altro rispetto al mondo che le ha condannate ed espulse:
ne è solo la verità ultima. Ed è
per questo, forse, che Rose, quando le si presenta
l'occasione, non fugge. Per lei non c'è libertà
e non c'è dignità né al di qua
né al di là del muro della "lavanderia".
Sorella-Bridget è funzionale alla comunità
che elimina ed espelle. È l'altro lato, il
più esplicito, della sua ferocia.
E infatti la dignità delle vittime alla fine
sta dentro di loro. Sta nella decisione di ribellarsi,
nel coraggio con cui Rose e Bemadette si contrappongono
all'universo totalitario e persecutorio. Sta, soprattutto,
nel gesto grande e profondo di Margaret. inginocchiata
non davanti a Sorella Bridget, ma davanti a Dio, nelle
parole della preghiera più grande della Cristianità
la giovane donna nega l'autorità stessa della
sua antagonista. O meglio nega la sua presunzione
d'autorità. E con ciò ritrova e libera
se stessa.
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