Introduzione
Petronio
Apuleio
Testimonianze giudaiche

 

Andrea Nicolotti

APULEIO

  Apuleio

Apuleio

Il retore africano Apuleio di Madaura (120-180 circa) scrisse intorno al 160 il noto romanzo Le metamorfosi (conosciuto anche come L’asino d’oro), in cui si narrano le peripezie di un certo Lucio che, trasformato in asino, subirà ogni sorta di avventure prima di essere nuovamente riportato alla propria condizione originaria.

Ad un certo punto del racconto Lucio, già in forma di asino, viene acquistato da un onesto mugnaio, maritato ad una donna dissoluta così descritta:

“Quel mugnaio, che mi aveva fatto sua proprietà pagandomi, un uomo peraltro buono e soprattutto modesto, aveva ottenuto in sorte come moglie una donna pessima, di gran lunga la peggiore di tutte le donne, e sosteneva pene estreme in casa e a letto, al punto che, per Ercole, anche io me ne doglievo in silenzio per lui. Non mancava alcun vizio a quella pessima donna, ma tutte le nefandezze erano confluite nel suo animo come in una melmosa latrina: crudele, funesta, ammaliatrice, ubriacona, ostinata, caparbia, vergognosamente avara nell’arraffare, scialacquatrice nelle spese per le sue porcherie, nemica della fede, avversaria del pudore. In quel tempo, disprezzati e calpestati i divini numi, al posto della religione stabilita fingeva sacrilegamente di credere in un Dio che proclama unico, osservando cerimonie inconsistenti e ingannando tutti gli uomini e il suo misero consorte, dandosi fin dal mattino al vizio e offrendo continuamente il suo corpo alla fornicazione” (Metam. IX, 14)1.

Alcuni critici hanno creduto di vedere, nel ritratto di questa donna, una cristiana; gli elementi a favore sono innanzitutto l’allusione alla credenza in un Dio unico e alle inconsistenti cerimonie. In secondo luogo, la terminologia usata per descrivere la sua dissolutezza, ricorda da vicino quella utilizzata ad esempio da Tacito nei confronti dei Cristiani (i flagitia), e gli aggettivi “ostinata” e “caparbia” richiamano alla mente la pertinacia e l’obstinatio dell’epistola di Plinio a Traiano.

In mancanza di ulteriori elementi, tale interpretazione rimane comunque un’ipotesi.


NOTE AL TESTO

1 Pistor ille, qui me pretio suum fecerat, bonus alioquin vir et adprime modestus, pessimam et ante cunctas mulieres longe deterrimam sortitus coniugam poenas extremas tori larisque sustinebat, ut hercules eius vicem ego quoque tacitus frequenter ingemescerem. Nec enim vel unum vitium nequissimae illi feminae deerat, sed omnia prorsus ut in quandam caenosam latrinam in eius animum flagitia confluxerant: saeva, scaeva, viriosa, ebriosa, pervicax, pertinax, in rapinis turpibus avara, in sumptibus foedis profusa, inimica fidei, hostis pudicitiae. Tunc spretis atque calcatis divinis numinibus in vicem certae religionis mentita sacrilega praesumptione dei, quem praedicaret unicum, confictis observationibus vacuis fallens omnis homines et miserum maritum decipiens matutino mero et continuo stupro corpus manciparat. Ed. Giarratano – Frassinetti, Torino, 1961.