Chi
convive sceglie deliberatamente di non avere a che
fare con lo Stato, vede il matrimonio come un fatto
burocratico che intacca il sentimento e la relazione
amorosa della coppia. Sentimenti contro burocrazia.
Ora invece si vuole andare a ficcare il naso in quella
scelta privatistica per trattare i conviventi come
se fossero sposati. SONO LORO che non vogliono
avere a che fare con Stato, società, dimensione
pubblica dell’amore. Eppure lo Stato
Mammone vuole ugualmente (e poco laicamente)
intromettersi e offrire lo scimmiottamento del matrimonio
con un contratto puramente burocratico (cosa evitata
come sabbia negli occhi dai conviventi).
Sono discriminate le coppie
che convivono rispetto a quelle regolarmente sposate
(con matrimonio civile o religioso)? Provate
ad andare a iscrivere il figlio all’asilo nido
(come rileva bene il film di D'Alatri Casomai
con Fabio Volo e Stefania Rocca) e vedrete che chi
convive, figurando come “mamma single”,
passerà davanti alla coppia sposata. Oppure
guardate alle tasse che lo Stato Mammone chiede a
chi è sposato e a chi convive, il cui nucleo
domestico non avrà i redditi sommati e potrà
rientrare in parametri meno onerosi. Andrebbero regolamentati,
sì, per evitare ingiustizie, ma nei confronti
di chi si impegna con il matrimonio. Non si può
obbligare le persone a sposarsi, tuttavia un’ingiustizia
resta, e a discapito di chi si sposa.
Franco Zeffirelli, su “La Stampa”
di martedì 13 settembre 2005, si dichiara a
favore dei PACS e cita il caso della nipote: “Guardate,
non è una questione sessuale. Sennò
si riduce il problema. Io stesso ho una nipote carissima
che ha convissuto per anni con un compagno. Per anni.
Non si è mai preoccupata di regolarla la relazione
col matrimonio. E una mattina lui se n’è
andato, e lei si è ritrovata sul lastrico.
Assurdo”. A me sembra assurda questa
pretesa. Lei “non si è mai preoccupata”
di garantirsi una condizione di giustizia mediante
il matrimonio, fatto apposta per questo, e ora lo
zio si lamenta che i prevedibili guai che capitano
nella vita gli si sono fiondati contro? Sarebbe come
se uno lavora senza versare mai i contributi e all’età
della pensione si meraviglia che non gli spetta niente.
Vogliamo dire ai giovani che il lavoro nero sembra
vantaggioso ma in realtà crea ingiustizia?
E vogliamo dire ai nostri ragazzi i
rischi della convivenza e il vantaggio di fare scelte
che impegnano la libertà e investono il proprio
tempo-vita? Con la scusa che non si può
più parlare di matrimonio perché altrimenti
si va ad intaccare l’invisitabile mondo interiore,
si lasciano i nostri giovani in balia di scelte apparentemente
più accattivanti ma alla prova dei fatti più
rischiose.
Nella proposta di Grillini sui PACS
ci sono due questioni mescolate. Ci sono i PACS veri
e propri che scimmiottano il matrimonio dando
i vantaggi del matrimonio (compresa, in caso
di decesso, la reversibilità dello stipendio
se si hanno dai 5 ai 15 anni di contributi lavorativi
o della pensione) e conservando i vantaggi
della convivenza, ossia una facilità
di scioglimento che fa sorridere perfino della proposta
di “divorzio lampo” naufragata nel parlamento.
Stiamo costruendo una società dell’usa
e getta. Il consumismo dilaga dalle cose alle persone.
Cose già viste durante il recente referendum
con il totale menefreghismo con cui si voleva trattare
il concepito per i vantaggi dei forti già nati.
Non si discute la serietà e verità dei
bisogni degli adulti, ma eravamo rimasti a una civiltà
che per soddisfare i legittimi bisogni (di salute,
di felicità, di curiosità del sapere)
non chiedeva il conto a un altro essere umano. Una
civiltà in cui ognuno é un fine. O adesso
è meglio dire era?
Dicevo che nella proposta di legge
Grillini ci sono i contratti PACS
da sottoscrivere appositamente, e una regolamentazione
delle unioni di fatto che non hanno
bisogno di firma. In entrambi i casi, i vantaggi offerti
sono reclamabili sia dalle coppie etero che omosessuali.
Zeffirelli nell’intervista riportata dice che
sarebbero regolamentazioni necessarie perché
conosce “casi pietosissimi” di “persone
che non hanno relazioni di natura sessuale, ma magari
hanno ristrutturato una casa in campagna, poi ci hanno
vissuto dentro, hanno piccole proprietà. Convivenze
caste, amicizie purissime. E se uno dei due s’ammala,
l’altro non ha diritto a essere informato delle
sue condizioni. E quando muore uno dei due, tutto
va perduto”. Ma come tutto va perduto?
Non esiste più il testamento? E se sono amicizie
così “purissime” come si fa ad
immaginare che ci sia nei confronti della famiglia
di origine del malato una spaccatura tale da impedire
di essere informato sulle condizioni di salute dell’amico?
Immaginate cosa vuol dire dare il PACS agli amici.
Se uno non è sposato e sta per morire fa un
PACS con un amico e così questi si trova la
reversibilità, oltre al suo stipendio. Ci vorrà
poco per mandare in tilt le casse dello Stato. E i
religiosi di un convento (o i sacerdoti di una parrocchia),
diamo anche a loro il PACS e la reversibilità
pensionistica o stipendiale alla morte di un frate,
di un sacerdote o di una suora?
Il PACS è un insulto per il
matrimonio. E’ un suo surrogato e uno scimmiottamento
diseducativo. Perché sposarsi se si
hanno gli stessi risultati con il PACS? Stessi
premi e tutele, con il vantaggio di poterlo sciogliere
immediatamente se la rottura è consensuale,
o dopo tre soli mesi se è unilaterale. Il
PACS risponde all’ideologia “sessantottina”
del “sei politico”. Promuoviamo
tutti, diamo a tutti la sufficienza anche se non hanno
fatto un tubo. Grande educazione alla responsabilità!
Così nel PACS diamo a tutti gli stessi diritti
anche se non c’è una scelta di vita equivalente.
Chi convive come scelta di vita può obiettare
che la sua è una scelta di vita altrettanto
dignitosa di chi si sposa. Non è questo il
punto. Se la sua scelta di vita non vuole
avere a che fare con lo Stato, sia coerente fino in
fondo. Non è che lo Stato è
brutto e cattivo a giorni alterni. Chi fa una scelta
privatistica dovrebbe avere una bella faccia tosta
per pretendere, quando fa comodo, effetti e diritti
pubblici prima liberamente rifiutati.
In realtà non sono tanto le
coppie etero a chiedere il PACS. Perché sono
proprio loro ad evitare l’intromissione della
dimensione pubblica nella scelta affettiva, considerata
privatisticamente. Sono i politici che vogliono
flirtare con il bacino di voti del popolo gay ad accettare
di scardinare il matrimonio per qualche voto in più.
Si abbia il coraggio di dire che l’omosessualità
ha la stessa valenza dell’eterosessualità
e si chieda un apposito “pseudomatrimonio”
ad hoc per l’omosessuale. Possibilmente
senza adozione di figli. E poi come in ogni democrazia
si conteranno i voti. Ma è veramente penoso
che non si pensi alle conseguenze deleterie per il
matrimonio, già tanto provato, di un
PACS che diluisce i doveri e amplifica i diritti,
che deresponsabilizza i giovani offrendo vie di facile
guadagno e di scarso impegno, solo per accontentare
l’aggressiva lobby gay. Fingiamo che
il PACS sia una cosa richiesta dal popolo dei conviventi
per dare in realtà agli omosessuali una sistemazione
giuridica e di legittimazione sociale della loro discutibilissima
inclinazione.
Detto altrimenti. Se proprio dovessi
scegliere, troverei meno dannosa per l’insieme
della società una regolarizzazione ad hoc
per gli omosessuali, invece che la trappola di svilire
con il PACS il matrimonio, per raggiungere l’obiettivo
di riconoscere le coppie gay. Chi tra gli
eterosessuali vuole uscire dal limbo della concezione
privatistica dell’amore ha già uno strumento
che è il matrimonio, per di più
diversificato a seconda delle opzioni ideali e di
fede. Indubbiamente una regolarizzazione (senza adozione)
ad hoc delle coppie omosessuali aiuterebbe
a stabilizzare un rapporto che, si legge nella casistica,
sembra essere troppo teso alla promiscuità.
Per fare questo dovrebbe però essere un “patto”
ben più serio di quello proposto da Grillini,
dove basta una stanchezza e un capriccio per dire
ciao, ricomincio da un'altra parte con un altro partner.
Penso che l’omosessualità
sia una tendenza che contraddice il fine della sessualità.
L’uomo è sessuato non per un accidente
ininfluente. La complementarietà dei
sessi è alla base della relazione famigliare
in cui l’unione dei corpi è teleologicamente
(finalisticamente) armonizzata, in cui fedeltà
e indissolubilità costituiscono la forma della
reciproca donazione, e in cui la fecondità
è apertura al futuro e partecipazione alla
corresponsabilità creatrice. L’omosessualità
contraddice molti di questi elementi, essenziali per
un rapporto compiuto. Ma di fatto ci sono
di queste coppie. Ripeto, meglio, se possibile,
coppie stabili e responsabili che eroticamente edoniste
e fragilmente promiscue. Se una società - che
non sa più apprezzare la differenza sessuale,
o che si fa prendere da una eccessiva prospettiva
agnostica, o che semplicemente crede di diminuire
un’ingiustizia nei confronti di alcuni suoi
appartenenti - vuole regolare questo tipo di relazione,
io preferirei una forma leggera, che dia una qualche
garanzia a chi è più debole, e questo
si può fare dando maggiore libertà di
azione nei singoli settori patrimoniali e di successione.
E’ un po’ quello che fa la seconda parte
della legge Grillini, anche se tesa troppo a “legittimare”
le unioni di fatto equiparandole al matrimonio. Se
questo, per la maggioranza dei cittadini (siamo in
una democrazia) non bastasse e si volesse dare agli
omosessuali un maggior riconoscimento, allora tra
le due scelte, PACS rivolto a tutti, o soluzione ad
hoc per gli omosessuali, preferisco di gran lunga
la seconda, perché il PACS sfascia l’idea
di matrimonio essendone un surrogato in versione light.
Chi pensa con il Grillini-PACS di risolvere
le situazioni di coppie in cui uno dei due o entrambi
sono ancora sposati con altra persona, sbaglia. A
queste situazioni è consentito solo di continuare
ad essere una coppia di fatto. Per fortuna. Perché
assimilarle del tutto al matrimonio mediante “matrimonio
light” (light nei doveri), avrebbe creato
un’ingiustizia verso il legittimo e perdurante
coniuge. Lo Stato Mammone per una smania
di individualismo desiderante, avrebbe offerto la
sua tutela alla nuova coppia di fatto dimenticando
che doveva tutelare il precedente patto matrimoniale.
Senza quindi fare ingiustizia nei confronti di coniugi
ancora legittimi, si può pensare di agevolare
l’attivazione di qualche forma di tutela per
la coppia di fatto che è in condizione non
di “non volere” (scelta privatistica che
chiede coerenza) ma di “non potere” risposarsi
(ad es. per matrimoni precedenti). In primis per tutelare
i figli che vivono nella famiglia di fatto. Leggo
che alcune di queste tutele sono già disponibili
senza dover costituire un'apposita legge per le coppie
di fatto, che sa tanto di ideologia distruttiva per
la famiglia fondata sul matrimonio, il quale trova
riconoscimento esplicito nella Costituzione (ma quanto
si cita la Costituzione in altri ambiti... e qui si
dimentica).
In conclusione, la proposta PACS,
come matrimonio light, è da evitare. Meglio
un PACS indietro. Già oggi chi si sposa si
sente un po’ fesso, forse vogliamo dargliene
la certezza?
Massimo Zambelli
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