La Chiesa e gli Ebrei
Indifferenza o Solidarietà?
SECONDA PARTE
a cura di Francesco Martino
PRIMA
PARTE
SECONDA PARTE
4. Verso la verità storica
5. Le fonti cattoliche dellArchivio Segreto
Vaticano
5a. I principi della politica estera vaticana
5b. Il Concordato di Pacelli con il Reich
5c. La politica vaticana verso il razzismo
L'enciclica Mit brenneder Sorge
5d. Il Silenzio di Pio XII
6. Conclusione
4. Verso la verità storica.
Fin qui le testimonianze sullambivalenza
del mondo cattolico nei confronti degli ebrei, e in modo particolare
dellambiguità dimostrata dalla Chiesa Cattolica
nei loro confronti. Ma sarebbe un errore storico accogliere
acriticamente e senza vagliare alla luce di una solida critica
storica le obiezioni fin qui presentate e ricorrenti. Perché,
se teoricamente le affermazioni di principio contenute in
Hans Kung e in Ernesto Rossi possono essere vere, bisogna
verificare se esse possono essere storicamente vere.
Lopera di Ernesto Rossi, per quanto metodologicamente
corretta, tuttavia risente della superficialità dovuta
alla conoscenza non di tutte le fonti, ma di quelle ufficiali
a lui disponibili; come anche, sul piano della critica storica,
è difficilissimo fondare giudizi certi senza conoscere
dallinterno i motivi di fondo che ispirassero i pronunciamenti
papali dellepoca, cosa che il Rossi non poteva conoscere
a pieno, come anche il basarsi sulle opinioni contenute nei
diari di Galeazzo Ciano e dellambasciatore di Berlino
presso la Santa Sede von Weizsacher. Anche perché i
rapporti diplomatici della Santa Sede erano evidentemente
condizionati nellepoca dal fatto che la Chiesa, appunto
perché vivente e radicata in territori dominati da
regimi totalitari ed oppressivi, non avesse pienamente la
libertà di agire ed esprimersi, ma risultasse condizionata
da numerose ed evidenti limitazioni.
Viceversa, lopera di un teologo interno ma dissidente
come Hans Kung risente molto della passione e dellidealità
proprie dellautore di Infallibile? , critico
da sempre del potere papale. Sicuramente, alla luce del senno
di oggi, la Chiesa non avrebbe dovuto sicuramente tacere,
ma storicamente poteva ragionevolmente parlare? E se avesse
parlato con chiarezza, limpidezza e trasparenza allora, essa
che fine avrebbe fatto? Mi si risponderà che è
tipico della Chiesa dare la vita, e affrontare il martirio,
ma una Chiesa distrutta, sradicata, divelta, e un papa e un
Vaticano occupato, con gli ecclesiastici arrestati o uccisi,
avrebbe potuto salvare - anche se pochi quel milione
di ebrei oggi stimato nel complesso? Oppure, rigirando la
domanda di Kung, se la Chiesa avesse fatto il diavolo a quattro,
i morti si sarebbero fermati a solo 6 milioni
oppure sarebbero stati molti di più ? Bisogna ragionevolmente
considerare che il regime nazista e il regime fascista avevano
tolle ranza zero verso gli oppositori, e che per
loro qualunque accordo era carta straccia; quindi, si sarebbe
scatenata una persecuzione inimmaginabile contro la Chiesa,
dalla quale sicuramente il Signore lavrebbe salvata,
ma che sul piano della concretezza storica gli avrebbe impedito
di fare alcunché per salvare chichessia. E così
non si sarebbe salvato nessuno.
Quello che è innegabile, che va riconosciuto,
deprecato e condannato è lideologia antisemita
coltivata nella Chiesa dal Concilio di Elvira del 306 fino
a Pio XII. Sicuramente e storicamente essa ha
contributo a rendere drammatico il problema ebraico nei giorni
dellolocausto e della seconda guerra mondiale.
Sicuramente è inspiegabile la durezza e la fermezza,
tipica di Papa Pacelli, avuta dopo la fine della Seconda Guerra
Mondiale nei confronti degli Ebrei e dello Stato di Israele,
come anche lomissione di confessione della colpa.
Ma la posizione della Chiesa, come emerge dai documenti dellArchivio
Segreto Vaticano, di silenzio ha una sua radicata
ragionevolezza storica, da cui è dipesa la salvezza
di molti. Anche la politica estera e diplomatica del Vaticano,
in questi tempi così oscuri, probabilmente se non evangelicamente
coraggiosa era però la più efficace e valida
per salvare i singoli. La Chiesa ha preferito agire ed operare
nel silenzio, piuttosto che parlare. Daltronde, anche
oggi si chiede una Chiesa che faccia meno parole e più
fatti.
5. Le fonti cattoliche dellArchivio Segreto Vaticano.
5a. I principi della politica estera vaticana.
Come già accennato, è grazie
allopera di P.Blet, R.Graham, A. Martini e B.Schneider
che tutti i documenti pontifici inerenti lOlocausto
e la seconda guerra mondiale sono stati portati alla luce,
consentendo di avere un panorama storico-critico fondato.
Innanzitutto, bisogna considerare latteggiamento verso
gli stati totalitari della diplomazia vaticana : il totalitarismo
non significava una rinuncia ad una politica estera vaticana
presso tale stato, ma finché da questo non venivano
contestate o abolite norme cattoliche, la questione se cominciare,
continuare o interrompere lattività di politica
estera con quello stato o regime era una questione di opportunità,
in quanto il fine principale era rappresentato dalla possibilità
di svolgere unazione pastorale di cura danime.
Inoltre, non va sottovaluto relativamente allepoca,
che la mancanza di mezzi adeguatamente efficaci e la frequente
difficoltà di calcolare le conseguenze, principali
e collaterali, per lintera chiesa mondiale rappresentavano
il caratteristico dilemma della politica estera vaticana nei
confronti di questi stati, ostili da un punto di vista della
normatività e della prassi . Daltronde, il poter
mantenere relazioni diplomatiche, significava per il Vatic
ano una certa possibilità di intervenire e continuare
a mantenere contatto con le Chiese locali.
Viceversa, non essendoci relazioni diplomatiche
con lUnione Sovietica, lì la Chiesa non potè
far nulla, non avere notizia di nulla, salvare nessuno.
La massima della politica estera vaticana del periodo che
va dal 1922 al 1945 può essere condensata nella storica
frase di Pio XI del 24 maggio 1929: Quando si trattasse
di salvare qualche anima, di impedire un maggior danno delle
anime, ci sentiremmo il coraggio di trattare con il diavolo
in persona. Una frase molto forte, che fa emergere latteggiamento
complessivo della Chiesa, soprattutto nei confronti del problema
ebraico, visto come problema eminentemente umanitario.
5b. Il Concordato con il Reich: un esempio
della politica difensiva della Chiesa minacciata.
Il primo problema concreto da affrontare, e
che Kung e Rossi sottolineano, è il concordato del
Reich, tanto avversato. La Santa Sede, secondo le conferme
venute dagli studi storici del 1969 e del 1972, e confermanti
le notizie fornite da Rober Leiber nel 1963, non aveva avuto
alcun ruolo nellascesa al potere di Hitler nella primavera
del 1933. In merito alla nomina di Hitler a cancelliere del
Reich, avvenuta il 30 gennaio 1933, lordinanza di emergenza
del 28 febbraio e le elezioni al Reicstag del 5 marzo, non
vi sono compromissioni né dellepiscopato tedesco,
né del cardinale Pacelli, già nunzio a Berlino
dopo la guerra, né della Santa Sede . Per quello che
riguarda il sì del Partito del Centro alla legge sui
pieni poteri e al comunicato, di poco successivo della conferenza
episcopale di Fulda, in cui molti studiosi, secondo linterpretazione
comunemente data, avevano visto il contemporaneo cedimento
dei centristi e dei vescovi al nazionalsocialismo perché
con lo sguardo a l Concordato del Reich che si andava delineando,
per cui la dittatura veniva barattata con concessioni politico-culturali,
non vi è affatto conferma dalle fonti : il sì
del centro del 23 marzo non era vincolato al concordato del
Reich, mentre la presunta ritrattazione degli annosi divieti
da parte della conferenza episcopale del 28 marzo nei confronti
del nazionalsocialismo era al condizionale : non fu fatta
alcuna pressione da parte della Nunziatura di Berlino, né
tantomeno da parte del Vaticano.
Lerrore cardinale fu commesso da mons.
Kaas, che giudicò molto ottimisticamente la dichiarazione
fatta da Hitler il 23 marzo, favorevole al cristianesimo e
alla chiesa. Il susseguente sì del centro ai pieni
poteri costrinse la conferenza episcopale a revocare sub
condizione i precedenti divieti dei vescovi verso il
nazionalsocialismo. Così, questi eventi, posero il
Vaticano in posizione obbligata quando il vicecancelliere
cattolico Franz Von Papen si presentò il 10 aprile
a Pacelli, cardinale segretario di stato, con lofferta
di chiudere un concordato . Nei fatti, le offerte, fin da
principio, contenevano molte proposte allettanti, in maniera
economica e di istruzione.
Negli ambienti vaticani cera la convinzione che il potere
di Hitler, totalitario, sarebbe durato a lungo, con possibili
effetti disastrosi per la Chiesa tedesca, e per tale motivo
non si volle rifiutare questa offerta di trattativa. Pacelli
era pessimista, e si preparava ad una lunga durata del Terzo
Reich, ma non si illudeva più di tanto . Solo Pio XI,
per un breve periodo, pensò di poter trovare in Hitler
un baluardo verso il comunismo , ma dopo il ricevimento del
vescovo di Osnabruck, oscillava nel giudizio sulla situazione
interna della Germania tra il moderato ottimismo e il pessimismo
più radicale, anche se sembrava inclinare più
al pessimismo.
Verso la fine di agosto, in missive riservate, il Papa censurò
la persecuzione degli ebrei in Germania con parole molto aspre,
come unoffesa «non solo alla morale, ma anche
alla cultura ». Per cui la dimensione che si prospettava
dei pericoli in Germania per la Chiesa spinse il Vaticano
ad essere disponibile alla trattativa, anche perché,
con lordinanza di emergenza del 28 febbraio e la legge
sui pieni poteri, Hitler aveva creato le basi per lo stato
nazionalsocialista. In qualunque momento il governo avrebbe
potuto derogare dalla costituzione, e la chiesa era indifesa
anche dal punto di vista del diritto. Essa, quindi, era necessita
al Concordato, allaccordo con il demonio,
che sostanzialmente avrebbe rispetto questo accordo in quanto
tale. Per cui, agli occhi della Santa Sede, il concordato
con il nazifascismo era unarma difensiva, a differenza
dei patti lateranensi. Chiaramente, in Italia la Santa Sede
era più ascoltata, poteva intervenire maggiormente,
e lo stato f ascista costretto ad accontentare il Papa, anche
a malavoglia: cosa non possibile in Germania, dove era necessario
garantirsi il minimo per la sussistenza.
La genesi fu tormentatissima, con la collaborazione
di Pacelli e Kaas, nel frattempo trasferitosi a Roma, dopo
essersi dovuto dimettere il 6 maggio da presidente del Partito
del Centro, dopo una prima fase di trattativa da parte di
von Papen. Partecipò alla fase di emendamento anche
lepiscopato tedesco .
Lultima discussione avvenne in Vaticano, alla presenza
di von Papen, dellarcivescovo di Friburgo Grober, e
di Pacelli, tra il 30 giugno e il 2 luglio, quando il testo
del Concordato preparato non fu approvato da Hitler, che voleva
prendere tempo. Così fu inviato a Roma il ministero
degli interni del Reich, e il dirigente Buttmann. Nel frattempo,
alla fine di giugno, il quadro politico tedesco era decisamente
peggiorato : i sindacati erano stati sciolti, sia quelli socialisti
che cristiani, il Partito Socialista fu soppresso il 22 giugno,
mentre il 25 giugno furono arrestati 2000 rappresentanti della
BVP, tra cui 200 sacerdoti, per accellerarne lo scioglimento,
che avvenne il 4 luglio, insieme alla DVP, liberale, mentre
la DNVP si scioglieva il 27 giugno e il partito di Stato (DDP)
il 28 giugno. Il partito del Centro, ormai, era alla fine,
e Bruning il 29 giugno ne aveva dovuto preannunziare lo scioglimento:
cessava così in Germania, sotto la spinta del governo
hitleriano , anche la parvenza di un regime parlamentare.
Forte di questo fatto, Hitler spinse per un concordato a lui
più favorevole, ed esautorò il Von Papen che
ormai non gli serviva più.
Non era escluso che, se non fosse più
stato necessario, Hitler avrebbe ritirato la sua delegazione
e agito di testa sua con la Chiesa Cattolica. In queste drammatiche
condizioni, il Vaticano e il suo segretario di Stato si trovarono
a dover operare in condizioni senza via di uscita : o si firmava
il Concordato, o era la fine per la Chiesa Cattolica tedesca.
Così, in tutta fretta, la Santa Sede accettò
la depoliticizzazione del clero, come divieto generale di
ogni attività di partito (art.32) e si limitò
a salvare il possibile tra le associazioni (art.31). Infatti,
drammaticamente, la questione, visto che si intuiva chiaramente
che in Germania, attraverso le ondate di adeguamenti e le
azioni di polizia, il problema delle associazioni e della
Chiesa stessa sarebbe stato risolto con la violenza, era addirittura
se si dovesse trattare con il Reich. Lultima spinta
la diede esplicitamente larcivescovo Grober, in una
lettera a Pacelli del 1 luglio, dove drammaticamente sottolineava
che o sarebbe andato tutto in frantumi o si sarebbe potuto
conservare semplicemente lo status quo ante ,
quindi in forma più riflessiva, il 2 luglio, pose la
condizione che il governo ritrattasse la sua recentissima
azione di polizia del 1 luglio e offrisse garanzie per il
futuro .
Pacelli seguì questa strada, e riuscì
ad ottenere che Hitler revocasse la maggior parte dei provvedimenti
del 1 luglio contro le organizzazioni cattoliche e formalmente
vietò che si ripetessero. Questo fatto consentì,
almeno temporaneamente, alle associazioni cattoliche di sopravvivere.
Lart.31 del Concordato, nella redazione finale, tutelava
soltanto le organizzazioni cattoliche con finalità
esclusivamente religiose, di cultura, carità e beneficenza
cristiane, mentre le altre ne avrebbero goduto solo a determinate
condizioni stabilite dallepiscopato tedesco e dal governo
del Reich. Tuttavia, per la fretta, anche se mancante lesplicita
definizione dei criteri e delle competenze per questa regolamentazione,
la Santa Sede lo firmò il 20 luglio. Fu lerrore
tattico più grave che la Curia avesse potuto commettere:
infatti, dopo lentrata in vigore del trattato, il Reich
sfruttò la lacuna e si arrogò la competenza
decisiva per decidere le associazioni ammissibili e non. Il
Vaticano non accettò la cosa, ma la lotta che condusse
non produsse alcun frutto: Hitler decideva come credeva. La
Santa Sede aveva ancora larma della non ratifica del
trattato, ma questa cadde perché la Conferenza Episcopale
tedesca, riunita a Fulda tra il 29 e il 31 agosto, premette
per una rapida approvazione, secondo la teoria del tanto
presto, tanto meglio, in quanto viva era la paura che
il Furher poteva perdere interesse al concordato, e per fermare
le sempre più gravi azioni anticattoliche.
La Santa Sede manifestò alcune riserve ai desideri
dellEpiscopato, e solo il 10 settembre perfezionò
la ratifica, con pochissimo entusiasmo, nonostante i discorsi
ufficiali .
Le conseguenze : immediatamente, Hitler guadagnò
prestigio, e la sua propaganda interpretò la firma
tuttaltro che convinta del Cardinale Segretario di Stato
come una legittimazione papale del nazionalsocialismo, e questo,
anche se falso era politicamente inevitabile. Linviato
inglese in Vaticano, scrivendo al suo governo, sottolineava
come «la conclusione del concordato comporta assai poco
una simpatia del Vaticano verso il regime nazista» .
Nei fatti, non fu «spezzata le resistenza dei cattolici
tedeschi contro un regime criminale», come sostenne
Thomas Dehler al Bundestag l11 marzo 1956 , ma anche
se vi furono imbarazzanti commistioni, consentì perlomeno,
a differenza delle confessioni protestanti, di poter conservare
il patrimonio religioso, di rivendicare lautonomia delle
organizzazioni cattoliche, e una certa libertà di intervento
della Chiesa in Germania, anche se è innegabile che
i rapporti furono sempre tesissimi, difficili, e sullorlo
della rottura, per le continue violazioni nazifasciste. Tuttavia,
anche per la Chiesa, a breve termine, esso costituì
una vittoria, perché fu un aiuto insostenibile nella
lotta per lautoaffermazione per le associazioni cattoliche
più minacciate, consentendo alla Chiesa di restare
quella che era, lasciando libertà di parola e insegnamento
nelle chiese .
A lungo termine, il concordato non servì a nulla a
Hitler, anzi non riuscì ad allineare i vescovi tedeschi
secondo i desideri del Furher, e questi lo sentì come
un pesante vincolo. Per questo motivo ne tenne sempre minor
conto, violandolo come e quando credeva e rispettandolo quando
riteneva opportuno: anzi, cercò di indurre il Vaticano
alla denuncia del Concordato, per avere così le mani
libere per distruggere la Chiesa Cattolica e sradicare la
sua istituzione, ma la prudenza della Santa Sede, che sapeva
bene che il capo del Reich non poteva, per motivi interni
alla Germania, e per non apparire lui il responsabile della
distruzione di questa istituzione, cosa che gli avrebbe alienato
i favori dei molti ufficiali cattolici del Reich, violare
in una volta tutte le disposizioni contenute nel trattato,
consigliò un silenzio assoluto su questo punto, e anzi
consentì ad essa di poter denunciare e stigmatizzare
le singole violazioni . Il Concordato, quindi, si rivelò
una straordin aria arma di difesa nei confronti del regime
totalitario, come aveva asserito il Cardinale Pacelli già
nellagosto del 1933 , consentì al cattolicesimo
tedesco di superare in modo sostanzialmente integro il Terzo
Reich, e favorì la resistenza al totalitarismo.
Il Concordato è un esempio della politica
vaticana del silenzio utile, che purtroppo la
Santa Sede dovette attuare con i regimi totalitari per salvare
il salvabile, mentre le denunce pubbliche, plateali, e mondiali
avrebbero provocato la distruzione della Chiesa stessa, limpossibilità
di aiutare chicchessia, e avrebbero ottenuto solo il cordoglio
e la commiserazione delle potenze occidentali e degli ebrei,
ma senza frutti concreti. Invece, pur se allapparenza
poco evangelico, latteggiamento di seguire la via politico-diplomatica
si rivelò ragionevolmente utile, in quei tempi difficili
in cui, nei fatti, la Chiesa non era libera, come invece lo
è oggi.
5c. La politica vaticana verso gli Ebrei
e il razzismo.
Possiamo così comprendere bene, con
un nuovo esempio storico, la portata e lefficacia della
politica vaticana di quegli anni verso gli ebrei e la questione
razzistica.
Con il regime nazista, come già accennato, i rapporti
furono difficilissimi fin dal primo momento, perché
ogni concessione della Chiesa era cedimento al totalitarismo,
e ogni resistenza aveva per effetto seri ostacoli verso di
lei. La Santa Sede cercò di agire sempre in accordo
con i vescovi tedeschi, non rinunciando ad occuparsi dei problemi
fondamentali dello Stato e della Società .
A mantenere i rapporti con il Reich fu il Cardinale
Segretario di Stato Pacelli. Il Razzismo fu il primo terreno
di scontro diplomatico politico. «Non esiste
alcuna determinazione di concordato che possa obbligare la
Chiesa a riconoscere come normative per i propri membri leggi
statali che rinunciano alla prima esigenza che devono assolvere
le leggi dello stato eticamente obbliganti e cioè alla
corrispondenza con la legge divina» , scriveva il futuro
Pio XII contestando le leggi razziali, e quindi: «Una
legge umana è impensabile senza un ancoraggio nel divino.
E questo ancoraggio non può basarsi su un divino
inteso in senso arbitrario, la razza. Non sullassolutizzazione
dello stato. Un tale dio di sangue e di razza
non sarebbe nientaltro che limmagine riflessa
autocreata della propria ristrettezza e limitatezza»
.
Tutto questo diplomatico scambio
di note, che esprime comunque un non silenzio
della Chiesa sullargomento, fu pubblicato dalla Santa
Sede in più riprese, tra il 1934 e il 1936 come libro
bianco, e se si considera che tutti questi libri bianchi furono
notificati ai vescovi tedeschi, che li ripresero nelle loro
omelie e indicarono loro lopinione e la volontà
del Vaticano , senza che il governo del Reich, in ragione
dello stretto Concordato non potesse impedirlo,
si può capire che più che attraverso plateali
(e inutili) proteste giornalistiche si seguissero
strade più interne ma più sicure, e sicuramente
sul terreno pratico più efficaci. Senza contare che
lOsservatore Romano nel 1935 pubblicò il contenuto
di due note molto chiare, riprese dai bollettini dei Vescovi
tedeschi.
Un altro atto deciso contro il razzismo fu
lenciclica Mit brenneder Sorge, del 14 marzo 1937, letta
e diffusa contemporaneamente a stampa in tutte le chiese cattoliche
della Germania il 21 marzo del 1937. Essa nacque dal fitto
rapporto tra lepiscopato tedesco, la Segreteria di Stato
e il Papa. Prese le mosse dallindirizzo tradizionale
di omaggio dei Vescovi tedeschi a Pio XI, riuniti a Fulda,
del 19 agosto 1936, e dai colloqui riservati di Roma avuti
dai 3 cardinali tedeschi più i due vescovi più
giovani, oppositori decisi del nazismo, Von Galen di Munster
e Von Preysing di Berlino , nel gennaio 1937. Pur se si rimase
sostanzialmente daccordo di attenersi al concordato
del Reich nella misura possibile, parve a tutti necessaria
una lettera pastorale decisa. Il cardinale Faulhaber preparò
in gran segreto per Pacelli un primo abbozzo, che questi,
fino al 10 marzo, rivide in collaborazione con mons. Kaas
e con il Papa. Uscì una lettera molto dura nella sostanza,
anche se non metteva in crisi il concordato.
Mit brenneder Sorge
Ecco i punti salienti:
1. La persecuzione della Chiesa Cattolica nel
Terzo Reich aveva motivazioni e finalità politiche:
laltra parte «ha eretto a norma ordinaria lo svisare
arbitrariamente i patti, leluderli, lo svuotarli e finalmente
il violarli più o meno apertamente
Lesperienza
degli anni trascorsi rivela macchinazioni che già dal
principio non si proposero altro se non una lotta fino allannientamento»
.
2. Il fondamento di ciò era nei principi del nazionalsocialismo,
e cioè il totalitarismo e il razzismo: «Se la
razza o il popolo, se lo stato o una sua determinata forma,
se i rappresentanti del potere statale o altri elementi fondamentali
della società umana hanno nellordine naturale
un posto essenziale e degno di rispetto; chi peraltro li distacca
da questa scala di valori terreni, elevandoli a suprema norma
di diritto, anche dei valori religiosi, e divinizzandoli con
culto idolatrico perverte e falsifica lordine da Dio
creato e imposto» Concetto di razza, principio dellunica
guida e totalitarismo sono concetti rifiutati dalla Santa
Sede, perché «Luomo, in quanto persona,
possiede diritti dati da Dio che devono essere tutelati da
ogni attacco da parte della comunità» , e quindi
a prescindere da qualsiasi tipo di semitismo o antisemitismo,
si potrebbe aggiungere.
La reazione dei nazisti, che solo allultimo
minuto seppero dellEnciclica e non potettero bloccarne
la lettura nelle 11.500 chiese parrocchiali, fu di impedirne
la diffusione successiva con rappresaglia di violenza inusitata,
con una violenta propaganda contro Papa e Vescovi, con la
ripresa di processi sommari per immoralità verso religiosi
e preti cattolici, preparando la denuncia del Concordato,
ed esigendo, il 29 maggio ripari dalla Santa Sede,
mentre si mandava in ferie lambasciatore presso il Vaticano.
Pacelli non si impressionò, e nella nota di risposta
del 24 giugno 1937 non si scusò, respinse ancora la
politica tedesca e ritorceva laccusa. Tuttavia, la reazione
violenta, che aveva reso criticissime le condizioni della
Chiesa tedesca, consigliò alla Santa Sede maggior prudenza
e unazione più silenziosa, sospendendo nellestate
del 1938 la guerra delle note .
La denuncia del Concordato da parte del Reich non avvenne,
per motivi non chiariti : sicuramente perché negli
ambienti della Cancelleria, data la forte presenza cattolica,
e il programma di espansione progettato, non si giudicò
ancora giunto il momento. Si procedette ad altri atti di rottura:
divieto delle associazioni giovanili, soppressione delle scuole
confessionali, non estensione del concordato ad Austria e
Sudeti e ricusazione di nuovi accordi.
Quando avvenne la notte dei cristalli
contro gli ebrei nel novembre 1938, Pacelli non giudicò,
allo stesso modo di molte altre potenze, opportuno procedere
ad uninutile protesta ufficiale, che avrebbe violato
il Concordato e impedito qualsiasi libertà alla Chiesa,
come avveniva in Austria e nei Sudeti, dove le violenze naziste
erano allordine del giorno, ma fece arrivare ai vescovi
tedeschi lesortazione a fare quanto possibile per salvare
il salvabile, con la solidarietà concreta verso gli
ebrei .
Il peggioramento dei rapporti con Hitler portò
ad una divergenza nella Conferenza Episcopale Tedesca : mentre
Preysing e Galen volevano contro il regime una mobilitazione
costante dellopinione pubblica in seguito alle violazioni
del diritto, piuttosto che una politica del ricorso
proposta da Bertram e seguita fino a quel momento, la maggioranza
dei vescovi non era daccordo, date le dure ritorsioni.
La Santa Sede non intervenne nella questione, anche se Pacelli
avrebbe voluto che si prestasse più ascolto a Galen
e Preysing. Innegabile, comunque, agli occhi del mondo apparve
la persecuzione della Chiesa cattolica e il dissidio papa-Hitler,
e la non accettazione da parte della Chiesa del regime totalitario.
Chiaro è che, una vittoria di Hitler, avrebbe costretto
la Chiesa in una strada senza uscita, e come in Russia, avrebbe
corso il rischio della distruzione .
Diversa, anche se parimenti asfissiante, era
la situazione in Italia : qui il cardinale Pacelli e papa
Ratti, che avevano molta più influenza e libertà
dazione, cercarono di limitare la portata delle leggi
razziali, con azioni più decise e con proteste molto
più chiare ed esplicite.
Sostanzialmente, le ricostruzioni di Ernesto Rossi sono abbastanza
fedeli dal punto di vista storico, ma vanno completate ed
inquadrate nella stessa problematica della politica estera
vaticana. In Italia le proteste furono più vibranti,
ma lottica della Santa Sede, cioè quella di ottenere
risultati concreti più che giornalistici nei confronti
degli ebrei, fu predominante. Si intervenne pubblicamente
dove si poteva intervenire, come nel caso di argomenti sui
matrimoni misti, sugli ebrei battezzati, ma in sostanza si
intervenne con migliaia di azioni private, premendo su tutti
gli amici della Santa Sede nelle forze armate,
nel regime, nella burocrazia, nella Corona, sui Vescovi, su
esponenti del clero.
Così, anche la formulazione contorta
e controversa delle leggi razziali del 1938/39, le loro numerose
eccezioni, lidea stramba del discriminare
più che perseguitare, favorì in molti casi unazione
positiva della Santa Sede verso gli ebrei, grazie al clima
di ambiguità vige nte. Verso il governo italiano, nei
confronti delle proteste del Duce, di Ciano e degli altri,
si seguì la politica della non contraddizione
ufficiale, e del lanciare falsi segnali con il silenzio ufficiale,
del non parlare per non far capire.
Così come verso il Von Weizsacher e il governo tedesco.
In questa situazione difficile, in cui le comunicazioni della
Santa Sede, formalmente libere, erano di fatto controllate,
i canali non ufficiali fecero comunque arrivare le direttive
alla periferia.
Eletto Pontefice, Pio XII fu presentato dalla
propaganda come il Papa Tedesco e Fascista, ma in realtà,
come anche lazione di Segretario di Stato lo dimostra,
non lo fu. Anzi, dopo aver nominato Mons. Maglione Segretario
di Stato, personalmente diresse ed organizzò la rete
di assistenza agli ebrei della Santa Sede, in cui era coinvolta
tutta la Segreteria di Stato, i Nunzi Apostolici, i singoli
Vescovi del luogo, i religiosi ed anche personalità
laiche, organizzando un gigantesco gioco di squadra silenzioso
e discreto che portò, secondo le stime attuali, alla
salvezza di circa un milione di israeliti .
Uomo di pace, non a prezzo di loschi compromessi , si professò
imparziale durante il conflitto per non perdere possibili
margini di manovra, nei paesi dominati dal totalitarismo,
per soccorrere i perseguitati in questi territori, e per garantire
lopera della Santa Sede e la salvezza della Chiesa .
Anche se evangelicamentenon condivisibile,
questa prospettiva, in quei difficili anni, era lunica
razionalmente e storicamente possibile per fare qualcosa di
positivo. La prudenza diplomatica era giustificata dal fatto
di non volere arrecare ai cattolici viventi in territori a
rischio sofferenze inimmaginabili con prese di posizione chiare
e limpide, ma poco pratiche, ma anche per non ingigantire
le persecuzioni contro gli ebrei . Con estrema sofferenza
interiore, per attenersi a questo principio, non prese ufficialmente
posizione contro o a favore di nessuno, fece sparire dal vocabolario
le parole comunismo ed occidente.
Anche per preservare quellindipendenza alla Santa Se
de che le consentì di agire in modo sostanzialmente
inalterato durante la guerra e mantenere contatti con i suoi
Nunzi e lEpiscopato, ad eccezione della Russia e dei
territori occupati dalla Germania. Nei momenti più
difficili delloccupazione tedesca (ottobre 1943
5 giugno 1944), pur se furono violati gli edifici di via della
Conciliazione e del Laterano nel dicembre 1943 per ricercane
ebrei e perseguitati politici, lo Stato del Vaticano rimase
indenne da interventi diretti di Hitler, dando ragione al
papa .
Se lenciclica già pronta contro
il razzismo e lantisemitismo, che da cardinale Pacelli
aveva preparato, non fu pubblicata nel 1939, è essenzialmente
perché il Papa giudicò pericolosa la sua uscita,
perché in Italia e Germania, e negli stati loro soggetti,
si sarebbe scatenata una persecuzione molto più violenta
e decisa contro gli stessi ebrei, oltre a compromettere lazione
della Chiesa in loro favore .
La contrarietà di Pio XII al nazismo, lungo la guerra,
nonostante le presunte immagini ufficiali, si fonda sullazione
da lui intrapresa per far giungere agli alleati, già
nellinverno 1939/1940, i progetti di Hitler tramite
lopposizione militare tedesca, e i contatti che ebbe
con gli esponenti di tale opposizione fino al 1944, e in numerose
note riservate, ritrovate negli archivi segreti.
Verso gli ebrei, si puntò esclusivamente tutto sullazione
umanitaria, a prescindere da ogni appartenenza etnica e nazionale
dei colpiti , ma unangosciosa differenza tra la volontà
di aiuto e la possibilità reale segnò questepoca,
in cui tutti gli esponenti della Chiesa, dalla Segreteria
di Stato, alle Nunziature, agli Episcopati, sperimentarono
la loro limitatezza.
La Curia si scontrò con la non collaborazione
di Germania e Russia, mentre nel novembre 1941, sotto la responsabilità
di Giovan Battista Montini, il futuro Paolo VI, fu istituita
una speciale commissione per i soccorsi, coordinata dal prelato
Mario Brini, subbissata da un lavoro enorme. La mole di documenti
rinvenuti sullopera di questa commissione è la
testimonianza che tutto il Vaticano fu coinvolto quasi esclusivamente
nellopera umanitaria e caritatevole verso i perseguitati
razziali, politici e i colpiti da catastrofe, e di tutto questo
il papa faceva trasparire intenzionalmente il meno possibile,
appunto per non compromettere le possibilità di successo,
soprattutto riguardo gli ebrei .
Ufficialmente si tacque, in concreto si agì.
Tanto più procedeva lo sterminio degli Ebrei da parte
di Hitler, tanto più erano laconiche le risposte della
Segreteria di Stato: «la Santa Sede ha fatto, fa e farà
tutto ciò che è nelle sue forze», era
la sempre uguale e laconica risposta.
Oggi, grazie allora di P.Blet, si conosce che gli interventi
furono migliaia, in tutti i paesi europei, in Croazia, in
Slovacchia, dove si cercò di sfruttare il fatto che
Tiso era prete cattolico, anche se con rapporti molto tesi
sulla questione, in Turchia, in Romania, in Italia, dove gli
sforzi furono coronati da successi maggiori, ed anche in Germania
ed Ungheria, mentre nulle erano le possibilità di intervento
nel Benelux, in Austria, Polonia .
In Italia e Germania, si arrivò una volta a mille casi
singoli, si facilitò lemigrazione ebraica tramite
il tedesco St.Raphaelverein, fino allo scioglimento
coatto imposto dai nazisti il 26 giugno 1941, si cercò
di impedire la legislazione razziale o la sua applicazione
negli stati sotto linflusso tedesco, con maggiori successi
in Italia, dove fino al 1943 Mussolini impedì la deportazione
di qualunque ebreo e mantenne inalterato questo principio,
finché potette, nella RSI. In Romania, il concordato
fu un utile strumento per ottenere molto, mentre in Ungheria,
nonostante la legislazione razziale, la Santa Sede riuscì
ad impedire un trattamento inumano in molti casi. Energie
non comuni furono poi spese per salvare gli ebrei battezzati
e quelli sposati con coniuge cattolico.
Sulla bocca del Papa, dopo il 1941, in cima
alla sua preoccupazione era la deportazione degli Ebrei: evitarla
o almeno limitarne e circoscriverne lampiezza fu uno
dei punti principali del programma pontificio di aiuto, anche
quando ancora non si avevano notizie di campi di sterminio.
Purtroppo, furono solo un milione ad essere salvati da parte
cattolica : un numero relativamente basso, ma dietro cui cera
limpegno della Chiesa Cattolica e del Papa con tutte
le loro forze per ogni singola vita umana. Più alto
era linflusso rimasto alla Santa Sede sui singoli governi,
tanto più si ottennero risultati soddisfacenti .
Latteggiamento del papa sulla soluzione
finale, scatenata da Hitler allinizio del 1942,
era ben chiaro : cercare di impedirla con oggi mezzo. Nel
radiomessaggio del Natale 1942, il Papa parlò della
persecuzione contro «quei centinaia di milioni di individui
che, senza qualsiasi colpa loro, qualche volta solamente per
ragioni della loro nazionalità o razza, sono designati
per la morte o per lestinzione progressiva». Anche
se in forma diplomatica, al rabbino capo Herzog, che chiedeva
un intervento pubblico al papa contro lo sterminio degli Ebrei,
il Vaticano rispondeva il 12 febbraio 1943 in modo che lo
stesso rabbino giudicava altamente soddisfacente e significativo,
e faceva pubblicare la risposta sul California Jewish Voice:
«Questa settimana il Vaticano ha inviato una lettera
al rabbino capo Herzog, assicurando che sta facendo tutto
il possibile per portare soccorso alle vittime della persecuzione
nazista, incluso gli ebrei» .
In merito alla deportazione degli Ebrei romani
del 16 ottobre 1943, che Rossi e Kung sottolineano, bisogna
ricordare che essa durò un giorno solo. Avuta notizia
della deportazione, Papa Pacelli intervenne direttamente e
di persona, tramite suo nipote, Carlo Pacelli, presso il generale
Hudal, un vecchio cattolico, ed ottenne una lettera di questi
al generale Stahel al mezzogiorno dello stesso giorno, cosa
che determinò la sospensione della razzia delle SS,
in forma temporanea, mentre se è vero che sullOsservatore
Romano apparve un corsivo, relativo alla Carità del
Papa, in cui si affermava che il Santo Padre «estenderebbe
la sua cura paterna a tutti gli uomini senza distinzione di
nazionalità, di religione e di razza» - in gran
segreto, diversi esponenti della Chiesa, per i canali non
ufficiali e senza pubblicità, si preoccupavano di avvertire
gli ebrei, salvandoli in Vaticano. Ciò grazie al non
intervento dellesercito tedesco, a quanto asserisce
la testimonianza delluf ficiale tedesco Nikolaus Kunkel,
apparsa recentemente.
Lufficiale tedesco, oggi ottantenne,
racconta dellatmosfera pesante di quei giorni, quando
era nellaria persino una occupazione del Vaticano, e
dei frequenti contatti tra il comandante della Piazza di Roma
Stahel e la Santa Sede. Narra come le SS avessero ricevuto
lordine di deportare gli ebrei, ma il comandante della
piazza si disse contrario e invitò Berlino a desistere,
senza esito. Tuttavia, lesercito tedesco non impedì,
dopo la sospensione della razzia, che gli Ebrei trovassero
rifugio tra le Mura Leonine : «In effetti i perseguitati
vi poterono trovare rifugio in modo relativamente semplice
probabilmente, entrando soprattutto da Piazza San Pietro
Per noi era un successo che tra circa 8.000 oppure 9.000 ebrei
solo 1.000 fossero stati arrestati dalle SS» . Secondo
lufficiale tedesco, il successo era stato coronato dal
silenzio ufficiale del Papa, in quanto una sua
presa di posizione ufficiale avrebbe cost retto lesercito
a dover far rispettare gli ordini di Hitler : «E
facile parlare dopo. Noi, al servizio del Comandante tedesco
a Roma, eravamo in ogni caso dellopinione che una presa
di posizione forte avrebbe avuto conseguenze negative»
. Fu proprio la mancanza di reazioni ufficiali che favorì
il resoconto tranquillizzante a Kappler, a Ritter
e a Berlino di von Weizsacher, e che favorì anche il
non precipitare degli eventi.
La Segreteria di Stato non esitò ad essere ambigua
nel rispondere alle interessate domande del Maresciallo
Petain, sullopportunità della legislazione antirazziale,
nei rapporti ufficiali con il governo italiano e tedesco,
con i regimi fantoccio insediati dai nazifascisti: e questo
non per collusione, ma perché era perfettamente inutile
discutere con loro, se non a rischio di svelare i piani della
Santa Sede, rendendo impossibile lazione umanitaria.
Se dallopera di John F.Morley emerge invece un severo
giudizio sulla diplomazia pontificia, secondo il quale essa
è fallita perché non ha fatto tutto quello che
le sarebbe stato possibile e perché, trascurando gli
ebrei e perseguendo un obiettivo di riserbo «invece
di un impegno umanitario, ha tradito gli ideali che essa stessa
si era dati» , dallo studio della documentazione emerge
esattamente che la diplomazia vaticana fece tutto quanto era
in suo potere di fare per gli ebrei. Il Morley, vivente in
un regime libero, non ha considerato tutte le situazioni contingenti
e limitanti imposte dalloperare in un contesto di totalitarismo
e negatore dei diritti umani. Storicamente, non si è
potuti arrivare dove si voleva, ma idealmente la Chiesa ci
ha provato.
5d. Il Silenzio di Pio XII
Al termine di questo viaggio, occorre da affrontare
unultima questione, quella del silenzio di Pio
XII, che nella ricerca storica fin qui condotta, già
fa trasparire la sua soluzione.
Tutti i commentatori si sono scagliati contro questo silenzio,
ma come abbiamo visto, con il senno del poi è facile
fare della grossolana critica storica, senza aver presenti
tutti i termini del problema, almeno per capire
latteggiamento di Papa Pacelli. In realtà, il
Papa fu totalmente partecipe del dramma ebraico, ma non lo
divulgò ai quattro venti.
La questione posta dagli storici è vedere in che modo
un papa in forza del suo ufficio è tenuto a dare testimonianza
contro la violazione degli elementari diritti delluomo,
come il genocidio della seconda guerra mondiale . Papa Pacelli
fu il primo a porsi questa domanda, e gli fu posta per le
vie diplomatiche sia attraverso una lettera di Radonski a
Maglione, via Londra, nel 1942, sia attraverso lArcivescovo
Preysing di Berlino il 6 marzo 1943, che lo sollecitava a
prendere posizione . Rispondendo allarcivescovo Frings,
il 3 marzo 1944, il Papa riconosceva che decidere era «dolorosamente
difficile» . Tuttavia, le decisioni papali furono responsabilmente
ponderate.
Il suo dilemma era quanto chiara dovesse essere
la parola che è richiesta dallufficio e quanto
concreta essa può essere in base alle conseguenze.
Il Papa, poi, preferiva parlare più dei peccati
che non dei peccatori: a lui competeva illuminare
sui principi fondamentali, mentre spettava ai vescovi concretizzare
sul luogo, e considerando tutte le conseguenze, i principi.
Si pose comunque spesso in maniera drammatica il problema
se, di fronte al terrore scatenato, con questo atteggiamento
assolveva a tutti gli obblighi del suo ufficio, e meditò
molte volte di andare oltre le condanne generali. Lintento
di evitare il peggio è «uno dei motivi fondamentali
per i quali ci poniamo limiti alle nostre dichiarazioni»,
scriveva a Preysing, Arcivescovo di Berlino, il 30 aprile
1943 . Il papa e i suoi collaboratori, sulla base di quanto
sapevano ed avevano sperimentato del nazionalsocialismo, erano
fermamente convinti che uninfiammata protesta non avrebbe
interrotto la carneficina, bensì lavrebbe aggravata
a seconda del momento e delle circostanze, e al tempo stesso
avrebbe distrutto le possibilità che erano rimaste
di agire per via diplomatica in favore degli Ebrei ungheresi
o rumeni.
In questo modo, prima degli altri, il Vaticano
potette essere informato dellOlocausto, e agire di conseguenza.
Già nella primavera del 1942 in Vaticano erano note
fonti ebraiche di Bratislavia e di Budapest che la deportazione
era per molti colpiti sicura condanna a morte, e dellesistenza
dei Lager. Poiché il silenzio era vincente in simili
circostanze, a Roosevelt, che tramite il delegato a Washington,
mosso da tre rabbini, aveva chiesto al papa un pubblico
appello per richiedere la sospensione dello sterminio
degli ebrei, era stato risposto il 3 aprile 1943, non senza
motivo il laconico «Santa Sede continua occuparsi favore
Ebrei» . La Segreteria di Stato, infatti, riteneva in
un documento interno che un appello pubblico non sarebbe stato
conveniente, perché bisognava evitare che la Germania
lo prendesse come pretesto per rendere ancora più gravi
le misure antiebraiche nei territori occupati ed esercitasse
nuove e più forti insistenze sulla politica ebraica
degli stati!
satelliti .
Sotto questo sfondo andava inteso il radiomessaggio del Natale
1942, poiché lo stesso Pio XII, in privato, parlando
del discorso tenuto, aveva confidato ai collaboratori più
stretti che quella sua parola: «era breve, ma fu ben
capita», cosa che ripetette nella missiva a Preysing
del 30 aprile .
Conclude Repgen : «Il papa, dunque, ha anche parlato,
ma la parola non fu il suo mezzo principale o esclusivo nella
lotta contro la politica ebraica di Hitler
Dominante
fu per lui laspetto, di responsabilità morale,
di dover evitare di scegliere una forma di provocazione che
non avrebbe fermato, bensì aumentato le disgrazie:
con un pubblico appello non si sarebbe ottenuta la cessazione
dello sterminio degli Ebrei, ma la drastica rappresaglia verso
ebrei, cattolici e chiese, connaturata nella logica del sistema
di dominio nazionalsocialista. Al contrario la politica del
Papa conservò alla Santa Sede la possibilità
di salvare ancora degli Ebrei. Poiché questa chance
venne sfruttata efficacemente, al Papa già allora dalle
centrali ebraiche fu espresso il più vivo riconoscimento
per la sua opera di salvezza» .
6. Conclusione.
Tutto questo percorso storico ci fa comprendere
come, per la Chiesa Cattolica, molta acqua sia passata sotto
i ponti : nella comunità cattolica cè
stata una radicale conversione dallantisemitismo discriminatorio
professato dal Concilio di Elvira del 306, e fino alla seconda
metà dell800, anche attraverso la purificazione
dellOlocausto della Seconda Guerra Mondiale, allaccettazione
piena e convinta dei nostri fratelli maggiori.
Questo cammino della Chiesa, già evidente, anche se
mancante il coraggio finale di riconoscimento dello Stato
Ebraico, avvenuto oggi con Giovanni Paolo II, era presente
già in Pio XII e in gran parte dei cattolici testimoni
della Seconda Guerra Mondiale, ma è maturato in pienezza
solo nel dopoguerra, prima con Giovanni XXIII, quindi con
la dichiarazione Nostra Aetate del Concilio Vaticano II, ed
in modo speciale nelloccasione di questo Giubileo.
Già nella Terzo Millennio Adveniente, il Santo Padre
aveva chiesto ai cattolici e quindi ai cristiani la Purificazione
della Memoria, chiedendo perdono per tutte le colpe
della Chiesa Cattolica contro lumanità, ed anche
per lOlocausto, scatenato da cattolici o pseudo cattolici,
come anche per tutte quelle violenze verbali degli uomini
di Chiesa contro gli Ebrei.
Si era posto nella linea di Don Gaetano Tantalo, che un giorno
del 1947, dopo aver letto lo scritto di DAzelio, aveva
ammesso «La Chiesa doveva fare pubblica ammenda, per
denunciare al mondo i gravi errori, che ha commesso contro
gli Ebrei» . Proprio a queste parole del Servo Dio sembra
ben corrispondere limmagine della primavera 2000 di
Giovanni Paolo II in preghiera davanti al Muro del Pianto
in Gerusalemme, che infila con un gesto significato in questo
luogo sacro per lEbraismo, un documento in cui afferma
che mai più ci sarà persecuzione degli ebrei
da parte dei cristiani e che la Chiesa chiede perdono di questi
suoi errori, concludendo dopo duemila anni un cammino molto
duro, con aspetti riprovevoli.
Se Kung era critico sulla volontà della Chiesa di fare
ammenda dei propri errori, quel gesto luminoso ed immenso,
di portata eccezionalmente storica, lo ha accontentato. Ma
un gesto che deve ricordare a noi tutti la necessità
di voltare pagina, e favorire limpegno di non perseguitare
mai più un uomo per le sue convinzioni di razza, lingua
e religione.
Per concludere, si riporta il discorso del 23 marzo 2000 ai
Rabbini di Terra Santa di Giovanni Paolo II:
«Molto reverendi Rabbini Capi, è con grande rispetto
che vi faccio visita qui oggi e vi ringrazio per avermi ricevuto
a Hechal Shlomo. Questo incontro ha un significato veramente
unico, che - spero e prego - condurrà a maggiori contatti
fra Cristiani ed Ebrei, volti a raggiungere una comprensione
sempre più profonda del rapporto storico e teologico
fra le nostre rispettive eredità religiose. Personalmente,
ho sempre desiderato essere annoverato fra coloro che, da
entrambe le parti, operano per superare i pregiudizi e per
garantire un riconoscimento sempre più ampio e pieno
del patrimonio spirituale condiviso dagli Ebrei e dai Cristiani.
Ripeto ciò che ho detto in occasione della mia visita
alla comunità ebraica di Roma, ossia che noi Cristiani
riconosciamo che l'eredità religiosa ebraica è
intrinseca alla nostra fede: "siete i nostri fratelli
maggiori" (cfr. Incontro con la Comunità ebraica
della città di Roma, 13 aprile 1986, n. 4). Speriamo
che il popolo ebraico riconosca che la Chiesa condanna totalmente
l'antisemitismo e ogni forma di razzismo perché in
radicale contrasto con i principi del cristianesimo. Dobbiamo
cooperare per edificare un futuro nel quale non vi sia più
antigiudaismo fra i Cristiani e anticristianesimo fra gli
Ebrei.Abbiamo molto in comune. Insieme possiamo fare molto
per la pace, per la giustizia e per un mondo più fraterno
e umano. Che il Signore del cielo e della terra ci conduca
a un'era nuova e feconda di rispetto reciproco e di cooperazione,
a beneficio di tutti! Grazie.» .
PREGHIERA DI GIOVANNI PAOLO II
AL MURO OCCIDENTALE DI GERUSALEMME
"Dio dei nostri padri, tu hai scelto Abramo e la sua
discendenza perché il tuo Nome fosse portato alle genti:
noi siamo profondamente addolorati per il comportamento di
quanti nel corso della storia hanno fatto soffrire questi
tuoi figli, e chiedendoti perdono vogliamo impegnarci in un'autentica
fraternità con il popolo dell'alleanza. Per Cristo
nostro Signore. Amen.
Domenica, 26 marzo 2000 IOANNES PAULUS PP. II "
DON FRANCESCO MARTINO
martino.francesco@tiscalinet.it
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