L'Ora di Religione di Marco
Bellocchio
Il
film L’ora
di religione
di Marco Bellocchio mi ha inizialmente spiazzato.
Ero andato a vederlo per dovere professionale e con
il pregiudizio di dovermi sorbire una lagna
psicotica e invece ho incontrato un’opera intelligente,
ben fatta e ben recitata, variegata nel montaggio
e nella composizione musicale. Analoga
sorte capitata ad Ernesto Picciafuoco, il protagonista,
quando va ad incontrare l’insegnante di religione
di suo figlio e resta colpito dalla bellezza di una
donna che immaginava brutta e bigotta. Tuttavia
questa lieta impressione si è purtroppo fermata alla
forma narrativa, perché il contenuto è sviluppato
con qualche stereotipo di troppo, veramente datato,
che allontana il film dall'essere una ricerca approfondita
e utile anche al credente in tempi di facile creduloneria.
Come nel corso del film
la bella insegnante di religione
si rivela un bluff (forma senza contenuto) – riesumando
implicitamente il solito pregiudizio di bigottismo
rivolto alla vera insegnante/insegnamento (catechista/catechesi)
di religione – così il ben confezionato lavoro di
Bellocchio non “incendia” (Picciafuoco)
con le sue tesi il complesso rapporto fede/vita/cultura
nella società contemporanea ma al massimo accende
un blando focherello. Forma interessante ma con contenuto
datato. Tutto si raccoglie nell’accusa fatta alla
Chiesa di essere macchina di potere che sinceramente sembra
piuttosto anacronistica visti i tempi di marcata secolarizzazione
da una parte (vita
come supermercato e luna park che non ha bisogno di
una religione) e sincretismo dall’altra (un fai da
te nel supermercato delle religioni per vivere meglio).
Le tesi
e l’ideologia del film si riflette perfino nel
nome del protagonista: se il nome Ernesto fa allusivamente venire in mente il rivoluzionario “Che”,
il suo cognome Picciafuoco
è eloquente di una missione da compiere: contrastare
la macchina di potere della Chiesa. Interessante
è chiedersi come
compiere questa missione. Nel film
c’è il personaggio del conte Bulla, un ateo che vuole contrapporre al PapaMonarca un Monarca di segno e forza opposti. Un preciso
progetto politico che ha anche tra i suoi scopi quello
di eliminare il segno della Religione del PapaRe
(il Crocifisso) dai luoghi
pubblici. Ernesto condivide alcuni obiettivi ma sorride
davanti all’elitarismo aristocratico di quel progetto.
Il sorriso non è tollerato da chi presume di avere
in tasca la Verità. Non si può “ridere della verità”,
come insegna il monaco Jorge
del “Nome della rosa”. Il conte sfida così a duello
l’insopportabile ironia del pittore: all’alba, davanti
al Cupolone! E’ un duello tra due forme di militanza:
politico-guerriera od estetico-esistenziale; fatta
con la spada della contrapposizione che elimina o
con il sorriso dell’ironia che snobba;
con il armiamoci e combattete dell’oratoria o con
l’ingaggio personale della coerenza.
Ne
L’ora di religione sono attivate due accuse alla fede contrapposte
e incompatibili. Si è contro a
un Dio paranoicamente presente e a uno perpetuamente assente. Il
Dio moraleggiante della Chiesa cattolica, propagandato
dall’ora di religione, che scruta ogni nostro passo
esteriore e, peggio ancora, ogni nostro sentimento
interiore con il suo onnipresente occhio, provoca
una contrizione sì, ma non tanto dell’uomo che riconosce
e confessa il suo limite etico, quanto quella del
sacrario della libertà e del foro interiore dell’identità.
Se Dio esiste, e lo è nel
modo monoculare dei vari monoteismi, è l’uomo a rimpicciolire
e a non essere. O Lui o noi.
Come fare ad essere liberi di fronte a un tale ossessivo Curiosone? Dove sta il raccoglimento, necessario preludio
alla decisione personale e libera, in
presenza di questo perfetto Impiccione? E’
interessante questa accusa
che fu già di Sartre
e che ci rimanda più popolarmente all’esperimento
psico-sociologico del
“Grande Fratello”. Vivere sotto lo sguardo ininterrotto
del Pubblico. Vivere perfettamente pubblicati. Ci
si chiedeva se era possibile
mantenere una propria sincerità o se non si stesse
inevitabilmente sempre recitando, in una compiuta
estroversione e pubblicazione di se stessi. Nel caso
di Dio il problema è ancora più serio perché l’invasività
della sguardo è anche interiore. Non c’è più zona franca, ripostiglio,
anfratto in cui ripararsi. Tutto è scoperto e trasparente.
Se Dio esiste non esiste più l’uomo, ma poiché l’uomo esiste…
Dio non può essere, sentenzia Sartre…
e Bellocchio.
L’altra denuncia del film
è l’assenza di Dio. Picciafuoco non crede ai
santi perché non crede ai miracoli. I miracolati sono
povera gente il cui interesse viene a
incrociarsi e a coincidere con quello delle famiglie
del potenziale santo, il quale viene a coincidere
con quello della Macchina-Chiesa che crea queste Gigantografie
(la foto della madre) per perpetuare mediante la soggezione
il suo potere temporale. Famiglie di sangue, famiglie
religiose (e qui il volto di Castellitto
prestato a Padre Pio allarga in un metadiscorso
il significato di famiglia del film), famiglia-clan
della Chiesa. I miracoli non esistono perché Dio si
disinteressa del suo mondo. In un colloquio in sottofondo,
la zia di Ernesto racconta
di come lei aveva chiesto un miracolo per una persona
cara, aveva pregato, ma il miracolo non era arrivato.
E rassegnata conclude che
non sempre si può avere un miracolo. Quel fatto non
la sveglia dall’illusione, continua a credere nonostante
la controprova.
Dio
assente o troppo presente? Lo
si vuole meno presente o meno assente? Cosa
deve fare Dio? Nascondersi, o mostrarsi ad ogni richiesta
con la potenza del miracolo? Intervenire per allontanare
ogni briciola di male, e quindi praticamente
star sempre in mostra e in azione, o sparire dalla
nostra vista, abbandonare il nostro mondo, eclissarsi
e lasciarci respirare in pace? Prendere in mano il
mondo e manovrarlo a scapito di casualità e libertà
o gettarlo lontano da Sé e disinteressarsene? Che
vogliamo da lui? Cosa vogliamo che faccia? Cosa dovrebbe
fare se davvero esiste? Se
fossi Dio non saprei davvero cosa fare per accontentare
i desideri contrastanti dell’uomo. Sembra che ogni
pretesto sia buono per lamentarsi di lui e per rifiutarlo:
“Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato,
abbiamo cantato un lamento e non avete pianto” (Mt.
11,17).
Grazie a questo film, che ci permette di ragionare
sul rapporto tra Dio e il suo mondo. Rapporto
che non ha soluzione positiva
per entrambe le parti in gioco se non si prende in
considerazione la serietà dell’idea di creazione
e dell’identità trinitaria di Dio.
Verso la fine del film
c’è la bestemmia liberatoria di Egidio, fratello
di Ernesto, che si sente
pressato dalle trame dell’ipocrisia. Una bestemmia
che è oggettivamente meno grave (se fosse vera) della
farsa menzognera che gioca coi
santi delle famiglie. Bestemmia, se è vero e quando
è così, dell’inchino al crocifisso
del Monsignore che ferma per un attimo il corteo della
famiglia Picciafuoco che sta andando al ricevimento
del Papa. Un bambino guarda intimorito e il Cardinale lo liscia per rincuorarlo.
Però la madre di Egidio aveva ragione quando
lo educava avversando il suo bestemmiare. Stando a
un proverbio hawainano bestemmiare il proprio
Dio non è gioco leggero e innocuo.
La bestemmia
è un dio che divora il suo devoto
Non è il libero spirito che bestemmia e non
è liberazione dello spirito quella forma di
autoaffermazione che disprezza il divino. Si è
devoti, servitori, chierici e fedeli di un altro dio.
Un dio che divora, distruttore. E forse la pazzia
di Egidio, al contrario di quel che propone Bellocchio,
non sta ad indicare il risultato finale di un'educazione
repressiva quanto, se ascoltiamo la saggezza libera
e serena degli hawaitiani, la disgregazione operata
da un dio avversario che separando la creatura dal
Creatore, perché lui stesso separato, frantuma
la coesione della persona, fatta di essenza creata
ed esistenza liberamente scelta.
Nell’atrio
dell’ospedale dove è ricoverato il fratello, Ernesto
incontra un altro “pazzerello” che gli racconta della
sua ossessione di fare saltare in aria il Vittoriale,
ovvero
"L'altare della Patria", segno enfatico
del potere. È questo incarico
e questa missione che Ernesto farà propria. Lavorando
al computer crea una sequenza animata in cui pezzo
a pezzo il Vittoriale si
sgretola e cade a brandelli. Arte
come denuncia e denudamento demistificante del Potere.
Il film termina con Ernesto che consegna suo figlio
alla scuola. Il bambino prima
di entrare indugia sul pianerottolo de'ingresso sul
quale sono affiancate le bandiere italiana ed europea.
Una scuola europea, in cui laicità e criticità preparano
l’uomo del futuro. Ma anche una scuola europea dove
l’ora di religione non è emarginata come da noi, verrebbe
da aggiungere.
Per finire vorrei sovrapporre
(in un gioco di pura interpretazione che non vuole
pretendere collimazioni con la realtà del film), al
personaggio Picciafuoco
e al suo nome alcuni tratti di quell’incendiario
cantato da Cecco Angiolieri in “S’i’ fosse foco”.
"S'i'
fosse foco" di Cecco Anmgilieri |
Ernesto
Picciafuoco di "L'ora di religione"
di Marco Bellocchio |
S'i'
fosse foco, ardere' il mondo;
s'i' fosse vento, lo tempestarei;
s'i' fosse acqua, i'
l'annegherei; |
La
vocazione iconoclasta di Ernesto
Picciafuoco si esprime nel video in cui il Vittoriale
crolla liberando persone e società del suo ingombro
idolatrico. |
s'i'
fosse Dio, mandereil en profondo; |
L’ateismo
può essere una forma di estremo
amore per il divino. Divino ingabbiato nel sistema
di potere del Mondo, quindi da distruggere per
liberarlo. |
s'i'
fosse papa, serei allor giocondo,
ché tutti ' cristiani embrigarei;
|
I
cristiani e la loro ipocrisia. Il Papa nel film
non si vede mai. E’ anch’egli complice della macchina
di potere? O è vittima
di un sistema che procede a sua insaputa e alle
sue spalle? |
s'i'
fosse 'mperator, sa'
che farei?
a tutti mozzarei lo
capo a tondo.
|
Qui
non vedo paralleli. Se
non nel duello col conte Bulla in cui Ernesto
generosamente si tuffa anche a costo della propria
vita. |
S'i'
fosse morte, andarei da mio padre;
s'i' fosse vita, fuggirei da lui:
similemente faria
da mi' madre.
|
Una
madre ingombrante. Tutti i fratelli di
Ernesto hanno dovuto lottare contro la
madre e la sua ideologia per loro asfissiante.
Il fratello Egidio, impazzito, ne
sarebbe la vittima. |
S'i'
fosse Cecco com'i' sono
e fui,
torrei le donne giovani
e leggiadre:
le vecchie e laide lasserei
altrui. |
L’amore
e la bellezza che Ernesto incontra (casualmente?)
è la vera e unica possibilità di riscatto di una
vita di compromessi (anche
nel lavoro artistico deve fare quello che altri
vogliono). |
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Massimo Zambelli
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